Vanessa Muratori su lavoratori case di riposo – interpellanza

A tutela del lavoratore nel settore privato generalmente l’assunzione con contratto a termine dopo un massimo di 12 mesi si trasforma per legge – automaticamente- in assunzione a tempo indeterminato, nel settore pubblico non vi è una norma simile, ma il lavoratore trovava una tutela dalla precarietà a tempo indefinito nella legge n. 15 del 30 gennaio 1987 che prevedeva, in mancanza di un trasferimento interno, che nel termine di due mesi dalla vacanza del posto nella pa si provvedesse all’emissione del bando di concorso. Questa norma è stata del tutto aggirata dal blocco delle assunzioni nella pa e vi sono settori in cui i concorsi non sono stati fatti per decenni.
Così come è decennale parte del precariato nella pa che ora si intende “congelare” per le difficoltà di bilancio. Nella Casa di Riposo vi sono lavoratrici che rischiano di andare in pensione da precarie, senza avere mai potuto godere dei benefici economici (nessuno scatto di anzianità, nessuna indennità di rischio) e normativi (nessun riposo compensativo, rientro dalla maternità a 60 giorni dal parto..) spettanti alle colleghe con cui hanno condiviso le medesime fatiche.
Perché lavorare nella casa di riposo è faticoso, sia fisicamente che psicologicamente. Lavorano perché di loro c’è bisogno e senza di loro il servizio non potrebbe essere erogato.
Gli stipendi non sono esorbitanti e stabilizzare queste lavoratrici costerebbe all’amministrazione pubblica molto meno di quanto speso per finanziare il Meeting o la “Padania”.
Non sono affatto una categoria privilegiata e non hanno alcuna responsabilità per la crisi in atto.
Interpello dunque il Congresso di Stato per conoscere se e come intende tutelare il lavoratore della pubblica amministrazione da una situazione di precariato di durata potenzialmente coincidente con l’intera vita lavorativa, i suoi intendimenti circa la stabilizzazione delle precarie della Casa di Riposo, in particolare se e per quanto tempo intende mantenerle nella precarietà, se andranno in pensione con il solo piede retributivo, se avranno mai la corresponsione degli arretrati, se avranno almeno riconosciuta l’indennità per il lavoro che effettivamente svolgono.

Vanessa Muratori