Kolsari (Finlandia). Il Baltico è al centro delle attenzioni mondiali. Kaliningrad, territorio russo incastonato tra Lituania e Polonia, è l’ultimo avamposto di Mosca in Europa settentrionale. E per il Cremlino, difendere quella sua propaggine da un possibile blocco significa non solo assicurarsi una «spina nel fianco» nel blocco occidentale, ma anche mantenere il controllo delle rotte che collegano San Pietroburgo.
Quella provincia russa sul Baltico è considerata una delle ultime eredità dell’impero sovietico. Un impero che, per un breve periodo del Novecento, sembrava potesse creare una situazione analoga in un altro Stato oggi di nuovo oggetto dell’interessi di Mosca: la Finlandia. Lo Stato neutrale che adesso chiede di entrare nella Nato.
A pochi chilometri da Helsinki, infatti, le forze sovietiche, dal 1944 al 1956, presero possesso di un’intera penisola come parte dell’accordo di pace che pose fine alla guerra tra i due Paesi. L’Urss decise di abbandonare l’area prima della scadenza naturale degli accordi ma per i finlandesi quella cessione del proprio territorio non è mai stata dimenticata ed è oggi ricordata come la «parentesi di Porkkala», dal nome della penisola trasformata in base sovietica.
La storia racconta di come i cittadini di Kirkkonummi, Inkoo e Siuntio furono costretti a lasciare le loro case per far posto ai russi. Un’intera regione, di punto in bianco, scomparve dai territori sotto l’autorità di Helsinki e divenne un vero e proprio buco nero in cui nessuno poteva sapere cosa stesse accadendo. Una fase di oscurità in cui i russi in realtà fecero ben poco rispetto alle aspettative, e quel poco che venne realizzato fu anche rimosso nel momento del loro ritiro. Ma alcune testimonianze, oltre al ricordo dei cittadini evacuati e poi tornati in quei luoghi, resistono. Una su tutte, un piccolo cimitero composto da lapidi nere e da una stele a pochi chilometri da Kirkkonummi dove riposano i caduti sovietici di quei dieci anni di occupazione.
Secondo le stime, sarebbero centinaia le persone, non solo militari, morte durante la «parentesi» e che oggi sono sepolte in quella penisola un tempo territorio dell’Urss. Per arrivare lì si percorre un vialetto che sale su una collina circondata da alberi. Non esiste segnaletica stradale che indichi dove riposino quelle persone: l’impressione è che l’esistenza di quel luogo sia rispettata ma volutamente non pubblicizzata. Il portoncino di ferro è aperto, sormontato dai rami delle piante. L’erba ha ricoperto le lapidi, ma una corona di fiori sulla stele con le scritte in cirillico ci ricorda che il 9 maggio, la festa della vittoria, è stato ricordato anche qui. Il silenzio è totale, interrotto solo dal rumore delle foglie mosse dal vento e dalla pioggia battente.
Difficile che qualcuno passi per questo luogo: la strada è secondaria e il paese più vicino molto piccolo, escluso dalle arterie principali del Paese e in un’area ancora oggi in larga parte disabitata. La storia però è passata anche qui, sulla costa settentrionale del golfo di Finlandia, dove in un passato non troppo lontano, un territorio oggi parte dell’Unione Europea e forse, nel prossimo futuro, dell’Alleanza Atlantica, è stato sovietico. L’impero di Mosca si estendeva anche nella penisola di Porkkala, dove migliaia di persone, per alcuni anni, persero tutto. E dove al loro posto giunsero altre persone da ogni parte dell’Unione Sovietica. Una parentesi che ricorda a tutti che il Baltico non è mai stato sottovalutato dai russi, e non potrà esserlo nemmeno in futuro.
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