Vittorio Gassman, 100 anni e rimane inarrivabile

(di Giorgio Gosetti) (ANSA) – ROMA, 29 AGO – Il primo settembre quest’anno non è
una data come un’altra: Vittorio Gassmann compie cent’anni ed è
l’occasione in cui tutta la cultura italiana può restituirgli il
prestigio che troppo spesso gli è stato negato a vantaggio di un
successo popolare guardato con sospetto dagli intellettuali. In
realtà durante tutto l’anno le celebrazioni sono state numerose,
culminate nella grande mostra all’auditorium di Roma e
nell’intitolazione di un lungotevere nel suo nome, unico attore
insieme ad Anna Magnani e Marcello Mastroianni a figurare due
volte nella toponomastica della Capitale. Per la sera del suo
compleanno il giornalista e regista Fabrizio Corallo ha
organizzato una speciale proiezione del suo documentario
dedicato a “Vittorio, re della commedia” alla Casa del Cinema
di Roma. Cinque giorni dopo sarà la Mostra del Cinema a
salutare il suo compleanno (e quello dell’amico e collega Ugo
Tognazzi), a ricordarlo presentando la versione restaurata di
uno dei capolavori della coppia, “La marcia su Roma” diretto da
Dino Risi e ora ritornato visibile grazie ad Aurelio De
Laurentiis e Cineteca nazionale. Ma chi era veramente Vittorio Gassmann, nato alla periferia di
Genova (a Struppa) il 1 settembre 1922 e morto nel sonno nella
sua casa romana il 2 giugno del 2000? Personalità contrastata,
psiche probabilmente bipolare, formazione classica,
perfezionista nel lavoro, irrequieto nella vita e negli amori,
questo e tanto altro fu Vittorio, il Mattatore. Come lui nessuno
sulla scena italiana, anche se si considerava con un po’di
autoironia erede dei grandi capocomici, avendo sposato Nora, la
figlia di Renzo Ricci. Formatosi all’Accademia Silvio d’Amico,
nel 1943 debutta in teatro con “La nemica” di Niccodemi al
fianco della grande Alda Borrelli per fare poi compagnia con
Ernesto Calindri e Tino Carraro al Teatro Eliseo. Nel suo
passato ci sono l’eredità dei genitori (il padre un ingegnere
civile tedesco, la madre ebrea pisana),un anno dell’infanzia
vissuto a Palmi nel quartiere Ferrobeton progettato dal padre,
il diploma di maturità classica (con grande passione per il
greco) al romano Liceo Tasso e una promettente carriera come
giocatore di basket coi suoi 187 centimetri d’altezza, poi messa
in soffitta a vantaggio della recitazione.
    Anche al cinema trova presto spazio nonostante le difficoltà del
tempo di guerra e subito dopo la Liberazione comincia a
segnalarsi soprattutto con ruoli da antagonista o da bel
tenebroso. Ben presto in teatro, anche grazie alle scelte di
Luchino Visconti che lo avvia sia al teatro classico che a
quello moderno (“Un tram che si chiama desiderio”) insieme a
Paolo Stoppa e Rina Morelli, è una star mentre al cinema
nonostante titoli importanti (“Riso amaro”) dovrà aspettare la
fine degli anni ’50 per avere il primo nome in cartellone.
    Succede quando Mario Monicelli scopre il suo talento comico con “I soliti ignoti” del 1958 e da allora si passerà di trionfo in
trionfo anche per la capacità dell’attore di mimetizzarsi come
un camaleonte nelle diverse facce dell’italiano: personalità
istrionica, duttilità nella dizione di ogni dialetto, fisico
prorompente, Vittorio Gassman (nel frattempo il cognome ha perso
l’ultima lettera) entra di diritto nel club dei “colonnelli
della commedia”. Prenderà il soprannome celebre di Mattatore
dopo il successo dell’omonimo programma televisivo del 1959. Da
attore drammatico ha grandi conferme internazionali dopo “Guerra
e pace” di King Vidor (1956), ma sono le commedie e il sodalizio
con registi come Risi, Monicelli, Scola a costruire il suo mito;
forse anche per questo non lascerà mai il teatro vestendo qui i
panni classici che più amava, tra la tragedia greca e William
Shakespeare. Fare la lista dei suoi capolavori è perfino
imbarazzante da “La grande guerra” (Mario Monicelli, 1959) a “Il sorpasso”(Dino Risi, 1962, il suo ruolo più amato e ricco di
sfumature) da “I mostri” (Risi, 1963) a “L’armata Brancaleone”
(Monicelli, 1966), fino a “C’eravamo tanto amati” (Ettore
Scola, 1974). Non mancano film drammatici come “Caro papà”, “Il
deserto dei tartari”, “La terrazza” e soprattutto “Profumo di
donna” che gli vale un applauso internazionale e la Palma d’oro
a Cannes. E’ solo uno dei tanti riconoscimenti che teneva in
casa come soprammobili occasionali, dai 9 David di Donatello ai
Nastri d’argento, Grolle e Globi d’oro fino al Leone alla
carriera della Mostra di Venezia che lo consacra nel 1996. Con
lui è stato più avaro il cinema internazionale nonostante la
stima di autori come Robert Altman. Di fatto forse lui per primo
era intimidito da contesti che non controllava appieno e cercava
sempre nel palcoscenico la strada di casa. Così è stato del
resto il suo “autunno da patriarca” quando diradò i set
(memorabile però la sua interpretazione ne “La famiglia” di
Scola) per rifugiarsi nei recital di poesie, nella formazione
dei giovani attori (la sua “Bottega” diretta a Firenze dal 1979
al 1991), nelle popolarissime letture dantesche. E’ben nota la
sua tempestosa vita sentimentale con tre mogli ufficiali (dopo
Nora Ricci, l’americana Shelley Winters e Diletta d’Andrea), tre
compagne amatissime (Juliette Mayniel, Anna Maria Ferrero,
Annette Stroyberg), quattro figli da madri diverse: due di loro
(Paola e Alessandro) lo hanno seguito nella passione per la
recitazione.
    Non è possibile mettere confini al suo talento che spesso
incuteva timore non solo nei compagni di lavoro, ma anche nei
suoi registi; ma tutti possono confermare la sua generosità in
scena, l’umorismo inseguito con tenacia per piacere e far
piacere, la profondità della sua ricerca interiore, il timore
della vecchiaia, la lealtà delle amicizie. Oggi appare un
gigante inarrivabile e forse solo Pier Francesco Favino cerca di
calcarne le orme. Ma è proprio la sua meravigliosa unicità che
lo rende adesso più moderno di quando mieteva successi a passo
di carica. (ANSA).
   


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