Vivere o invecchiare? – …di don Gabriele Mangiarotti

Ci sono momenti nella storia umana che segnano un punto di non ritorno, comunque qualcosa con cui fare i conti.
Sappiamo quello che ha voluto ricordare Nietzsche quando ha raccontato la sua visione della «morte di Dio»: «Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? … Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi! … Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”»

Ma quello che è accaduto a Roma, durante il Giubileo dei giovani con Papa Leone e centinaia di migliaia di giovani è qualcosa che sembra indicare che la storia si svolge secondo una misura e dei tempi che non sono i nostri tempi. Non solo, ma coloro che si sono abbarbicati sulle cosiddette conquiste della società, i «moderni», sono oramai relitti del passato. Certo, «Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate».

Ma il tempo non è nelle mani dell’uomo, e il suo cuore non è proprietà dei potenti.
«Ecco, faccio una cosa nuova, non ve ne accorgete?» ha detto il Profeta. E «insegnaci a contare i nostri giorni» ha suggerito il salmista.
Le parole di Papa Leone, e l’ascolto dei giovani e il loro silenzio, sono di una eloquenza che fanno pensare a un evento con cui fare i conti, e soprattutto di cui meravigliarsi. Anche se sappiamo che i nemici della vita, della libertà e della gioia sono sempre all’opera, all’erta, e con una potenza di fuoco che sembra potere intimidire ogni barlume di speranza.
Così il mondo vecchio può illuderci che «love is love», mascherando la verità dell’amore, potrà gridarci che la morte voluta come diritto sarà l’orizzonte di nuove conquiste di libertà e dignità, ci diranno che non si può tornare indietro e che il progresso è inarrestabile e che chi ama la vita e la cultura della vita è ormai relitto del passato, sconfitto dalla luce della ragione, già, le «magnifiche sorti e progressive»…

Ma «Noi pure, cari amici, … siamo fatti per questo. Non per una vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un’esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell’amore. E così aspiriamo continuamente a un “di più” che nessuna realtà creata ci può dare; sentiamo una sete grande e bruciante a tal punto, che nessuna bevanda di questo mondo la può estinguere. Di fronte ad essa, non inganniamo il nostro cuore, cercando di spegnerla con surrogati inefficaci! Ascoltiamola, piuttosto! Facciamone uno sgabello su cui salire per affacciarci, come bambini, in punta di piedi, alla finestra dell’incontro con Dio… Ed è bello, anche a vent’anni, spalancargli il cuore, permettergli di entrare, per poi avventurarci con Lui verso gli spazi eterni dell’infinito.» «Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace».

E i giovani hanno compreso, i giovani hanno risposto, i giovani hanno ascoltato. E sono tornati, cambiati.
Ed hanno bisogno di qualcuno che ascolti il loro cuore, le loro domande (e come ha colpito la capacità di Papa Leone di cogliere il senso profondo di quelle domande, e rispondere con una proposta che è stata sfida di verifica).
Saremo noi coloro che sanno stupirsi di fronte alla novità, che si fermeranno commossi davanti a quel cuore che sa ancora riconoscere il «caso serio» della vita? O ripeteremo il mantra LGBTQI+, il corpo è mio…, non siamo più nel Medioevo, «diversità, equità ed inclusione»…? O illuderemo chi ci ascolta (o ci legge) che la libertà, il pensiero critico, l’identità culturale, le trasformazioni sociali sono le sfide del presente, mentre: «Ama veramente il suo amico colui che nel suo amico ama Dio», ci dice Sant’Agostino. L’amicizia con Cristo, che sta alla base delle fede, non è solo un aiuto tra tanti altri per costruire il futuro: è la nostra stella polare. Come scriveva il beato Pier Giorgio Frassati, «vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere una lotta per la Verità non è vivere, ma vivacchiare»… «Quando scegliamo, in senso forte, decidiamo chi vogliamo diventare. La scelta per eccellenza, infatti, è la decisione per la nostra vita: quale uomo vuoi essere? Quale donna vuoi essere?»… «È Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare» (Citazione di s. Giovanni Paolo II).

È il cuore l’alleato più potente della vita, il «cuore inquieto» che non accetta di essere soffocato né di adattarsi al compromesso. È il cuore che domanda a noi di risvegliarci dal sonno della cancel culture, dei diritti contro il diritto, della menzogna rivestita di perbenismo e di superiorità, di ribellarsi a quella ottusità che non sa riconoscere il bene presente e che impone una ideologia di morte travestita di libertà, il cuore sa riconoscere i compagni di viaggio con cui mettersi insieme, senza cedere alle chimere di uno statalismo che vuole imporre una educazione che non sa neanche dove stia di casa il vero amore, che non accetta di vivere relazioni effimere e casuali, senza prospettiva, fuochi fatui per soddisfare egoismo e solitudine.

Il cuore è fatto per vivere, non per vivacchiare. I giovani lo hanno scoperto e hanno riconosciuto un maestro che li ama, i giovani ci chiedono di non lasciarli soli. E di non essere per questo soli anche noi.

don Gabriele Mangiarotti