La Procura della Repubblica di Rimini ha aperto un fascicolo d’indagine per truffa aggravata ai danni dello Stato a carico dell’amministratore e presidente del quotidiano la Voce di Romagna, Gianni Celli. Secondo le indagini della Gdf, coordinate dal sostituto procuratore Luca Bertuzzi, 20 milioni di contributi all’editoria sarebbero stati stornati ad altre società. “Non sapevo di essere indagato – ha detto Celli – me l’hanno detto i giornalisti che mi hanno chiamato. Di cosa sarei accusato precisamente?”. L’indagine della Procura sarebbe stata annunciata ieri durante l’udienza davanti al tribunale fallimentare per il concordato in continuità chiesto dal giornale. La procura ha chiesto il fallimento.
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Notizia del 7 Marzo 2014
Il comitato di redazione del quotidiano La Voce di Romagna ha proclamato due giorni di sciopero e la motivazione è lapidaria: “Dopo 14 mensilità non pagate, ai giornalisti de «La Voce di Romagna» non è stato corrisposto nemmeno lo stipendio dei giorni 20-28 febbraio 2015, successivi alla domanda di concordato: per questo motivo il comitato di redazione indice lo sciopero per i giorni sabato 7 e domenica 8 marzo”.
Cosa sta accadendo nel giornale che negli ultimi tre anni ha visto avvicendarsi tre direttori? L’ultimo a lasciare il timone di comando era stato Stefano Andrini e lo aveva fatto con un editoriale un po’ criptico ma ben trasparente agli occhi della sua “ciurma”, lasciata a secco. Una situazione fattasi insostenibile, cioè, perché i dipendenti (per non parlare dei collaboratori) erano lasciati senza stipendio. Era il 30 aprile 2014 e quindi è trascorso quasi un anno ma il problema persiste e nonostante tutto i giornalisti hanno continuato a fare uscire La Voce. Ora però la misura è colma. Le mensilità non pagate (ma non solo) sono state l’innesco di vertenze, tavoli aperti in prefettura, istanze di fallimento, licenziamenti e reintegri per mano del giudice che hanno visto soccombere l’editore Giovanni – per tutti “Gianni” – Celli (nella foto), il cui Dna politico affonda le radici nella sinistra Dc ma al timone della Voce si è beccato anche una condanna per condotta antisindacale.
L’ultima clamorosa decisione della proprietà è stata la lettera datata 14 febbraio che ha annunciato l’avvio del procedimento di licenziamento collettivo per tutti i dipendenti. Pochi giorni dopo l’Editrice La Voce ha presentato domanda di concordato preventivo facendo leva su cause generali e soprattutto esterne, come il calo dei finanziamenti pubblici, la crisi dell’editoria italiana e il difficile accesso al credito bancario. Tutti fattori che hanno avuto un peso, ma la storia della Voce prima del precipitare della situazione, è la narrazione di una crescita importante e di successi mietuti, pur a prezzo del duro impegno e di non pochi sacrifici di chi nel quotidiano (e nei diversi “prodotti” editoriali via via sfornati) ha lavorato. Cosa è successo, allora? In una decina d’anni (fino al 2012) l’Editrice La Voce ha beneficiato di quasi 20 milioni di euro di contributi pubblici che, uniti alle copie vendute e alle entrate pubblicitarie, avrebbero dovuto garantire un futuro quanto meno sereno al giornale. Invece è arrivata a chiedere il concordato preventivo.
A scorrere i bilanci ci si imbatte in strani meccanismi. Nella nota integrativa al bilancio 2013 si legge che “la situazione patrimoniale della società evidenzia crediti verso la società controllante per euro 6.008.273,97”. In notevole crescita rispetto all’anno precedente, di quasi 750 mila euro. Un credito che, spiega sempre la nota integrativa, “determina incertezza in merito alla continuità aziendale, ove non vi fosse la ragionevole certezza del recupero delle somme a credito”. Ma chi è la controllante? E’ la cooperativa “La mia terra”, con sede a Verucchio, il cui dominus è sempre lui, Gianni Celli (insieme ad altri familiari), che è anche amministratore unico della Editrice La Voce, di Spi srl (concessionaria di pubblicità) e “Bella Stampa srl” (editrice del portale), quest’ultima al 50% di proprietà della Editrice La Voce. Quindi, per farla breve, Celli deve avere 6 milioni di euro da Celli.
Nella richiesta di concordato presentata il 20 febbraio scorso l’Editrice La Voce svela un altro colpo di scena, cioè la stipula di un contratto d’affitto di ramo d’azienda con una nuova società, sbucata dal nulla il 2 febbraio (data di costituzione) e iscritta alla Camera di Commercio il 18 dello stesso mese: Edizioni delle Romagne srl. L’amministratore unico è Nicola Celli (figlio di Gianni), che partecipa insieme al fratello Camillo (50% ciascuno). Il capitale sociale si ferma a 10 mila euro, ma quello versato arriva a 2500 euro. La sede è in via Luigi Settembrini 17, quartier generale anche di quello che è il fiore all’occhiello della famiglia, il centro medico polispecialistico “Nuova Ricerca”, diretto da Giorgio Celli (fratello di Gianni).
Edizioni delle Romagne è disponibile a prendere in affitto il ramo d’azienda di Editrice La Voce a condizione che si operi un prosciugamento di 11 dipendenti rispetto a quelli impiegati fino ad oggi, per scendere ad un massimo di 18 unità, ma la rappresentanza sindacale ha detto no a soluzioni che prevedano il “sacrificio di personale”, se non volontario e con incentivi e prima di tutto chiede lo sblocco degli stipendi. Vi state incartando? In effetti non è semplice seguire l’incastro e le capriole di questa vicenda, che nei prossimi giorni potrebbe vedere altri colpi di scena. Rimini2.0
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Notizia del 19.08.2014
Giovanni Celli, legale rappresentante della Editrice La Voce che edita il quotidiano “La Voce di Romagna”, è stato condannato per condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 legge n. 300/1970 in seguito al ricorso presentato al Tribunale di Rimini dalla presidente dell’Associazione stampa dell’Emilia-Romagna (Aser) Serena Bersani. La ricorrente – assistita dagli avvocati Alberto Piccinini del Foro di Bologna, Gianni Scenna e Massimiliano Gessaroli del Foro di Rimini – contestava l’antisindacalità del licenziamento del giornalista della Voce Paolo Facciotto, membro del comitato di redazione, non solo per motivi di forma (mancata richiesta del nulla osta all’Associazione di stampa competente come previsto dall’art. 34 del Cnlg) ma soprattutto perché si riteneva che l’estromissione del collega fosse stata determinata dalla sua attività sindacale in redazione in seguito al mancato pagamento di molte mensilità, conflittuale con l’editore e ampiamente documentata.
Il Giudice del Lavoro di Rimini Antonio Stanislao Fiduccia, udite ieri le parti, ha oggi sentenziato che è accertata la condotta antisindacale posta in essere dalla Editrice La Voce srl e ordina al legale rappresentante della società Giovanni Celli “di cessare immediatamente dal comportamento illegittimo e di rimuoverne gli effetti”. Pertanto dichiara nullo e inefficace il licenziamento di Paolo Facciotto e “ne riordina l’immediata integrazione nel posto di lavoro”. Inoltre condanna alla pubblicazione del decreto sul quotidiano La Voce di Romagna nell’edizione del 2 settembre 2014 e al pagamento delle spese legali sostenute dall’Aser.
“Come Presidente della Fnsi esprimo piena soddisfazione per la sentenza con la quale il giudice del lavoro di Rimini ha reintegrato nell’organico de la Voce di Romagna il collega Paolo Facciotto, membro del Comitato di redazione, licenziato con assurde motivazioni”, ha commentato il presidente della Federazione nazionale della stampa (Fnsi) Giovanni Rossi. “La conseguente condanna del comportamento antisindacale dell’editore Giovanni Celli è la riprova che non si possono violare impunemente le leggi della Repubblica ed i contratti di lavoro. L’editore deve comprendere che con il Sindacato ci si confronta, specie se si ricevono consistenti soldi pubblici per finanziare la propria attività e, malgrado questo, non vengono pagati regolarmente gli stipendi dei dipendenti e le spettanze dei collaboratori. La sentenza di Rimini è un segnale per quegli imprenditori che pensano di vivere ancora nell’Ottocento e non negli anni Duemila. Un ringraziamento va all’Associazione stampa dell’Emilia-Romagna per essersi prontamente costituita in giudizio a tutela del giornalista”.
Soddisfatta anche la presidente dell’Aser Serena Bersani: “Questa sentenza dimostra che mantenere la schiena dritta, come ha fatto il collega Facciotto malgrado le minacce e le ritorsioni subìte, alla fine paga anche in tempi tanto difficili come questi per il mondo del lavoro, specie quello editoriale. Se l’editore Celli ritiene che i diritti sono spade – come ha avuto modo di dire – io penso invece che i diritti sono il presupposto delle libertà, individuali e collettive, e che quindi tutti dovremmo lottare per la loro salvaguardia”.