ZES nelle Marche, infrastrutture saudite e Associazione UE. San Marino tra l’oro e la trappola … di Marco Severini

Credo sia arrivato il momento di riparlare con onestà, come peraltro ho sempre fatto.

Abbiamo un Paese fragile, gravato da un debito pubblico enorme in rapporto alle nostre dimensioni, afflitto da una pubblica amministrazione insostenibile e da una classe politica che troppo spesso rincorre le emergenze con soluzioni parziali, tappabuchi, e quasi mai strutturali. In questo contesto, c’è chi continua a vendere l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea come la panacea di tutti i mali. La realtà è che non ci darà un solo euro per le nostre infrastrutture, né un centesimo per risanare il nostro debito.

Nessun fondo europeo arriverà a San Marino attraverso quell’accordo.

Niente fondi strutturali, niente PNRR, niente investimenti diretti. Solo un’infinità di vincoli, obblighi, burocrazia.

Dovremo recepire oltre 7.000 norme comunitarie, senza avere alcuna voce in capitolo su come sono scritte.

Diventeremo un Paese applicatore, senza poteri decisionali e senza benefici concreti, una colonia europea costretti ad applicare le folli leggi europee e saremo alleati ad un’Europa che non ne sta azzeccando una.

Il consigliere Dolcini lo ha detto chiaramente, in un video che andrebbe proiettato in Consiglio Grande e Generale prima di ogni votazione su questo tema: zero soldi, tutto obblighi. E per chi volesse farsi un’idea autonoma, basta leggere i documenti ufficiali. I fondi strutturali sono riservati agli Stati membri. Gli Stati terzi, anche associati, non hanno accesso diretto.

Nel frattempo, sulle nostre spalle grava il fardello del bond da 350 milioni di euro, rinnovato ultimamente a condizioni capestro, con un tasso vicino al 7%. Una follia finanziaria. Oggi San Marino paga circa 25 milioni di euro all’anno solo di interessi passivi, senza abbassare minimamente il capitale. Un drenaggio costante di risorse, uno spreco silenzioso che mina ogni margine di manovra economica.

Eppure, una soluzione concreta c’è. Anzi, ce ne sono due.

Entrambe arrivano dal Fondo saudita per lo sviluppo, che non è un miraggio ma una realtà, con cui si stanno aprendo canali diplomatici, finanziari e progettuali grazie a una figura che non ha paura di confrontarsi con partner veri, anche fuori dai circuiti comodi della diplomazia europea: il Segretario di Stato Federico Pedini Amati. Il Segretario di Stato ha dimostrato di saper parlare con il mondo reale, senza pregiudizi e senza paura del giudizio ideologico di chi preferisce la burocrazia di Bruxelles alle opportunità tangibili del Golfo e non solo.

La prima proposta del Fondo saudita per lo Sviluppo prevede un finanziamento fino a 100 milioni di euro (quindi se ne può prendere anche di meno) destinato alle nostre infrastrutture pubbliche, con un tasso estremamente vantaggioso dell’1,5%. Risorse preziose che ci permetterebbero finalmente di realizzare un nuovo Ospedale di Stato, considerando che quello attuale non solo non è a norma sotto il profilo antisismico, ma continua a costarci una fortuna in manutenzione, e di rilanciare seriamente l’aeroporto, un asset strategico per il futuro economico della Repubblica.

Ma attenzione: l’ospedale, una volta realizzato – e mi auguro con maestranze sammarinesi, non con aziende esterne come purtroppo accaduto anche di recente con l’appalto per la ristrutturazione del Begni, vinto da ditte non residenti, con il risultato che qualche milione di euro sammarinese se ne andrà a ingrassare economie altruinon deve trasformarsi nell’ennesimo monumento alla spesa pubblica improduttiva. Deve diventare un asset strategico, messo a reddito con una visione moderna e imprenditoriale. Un hub sanitario di altissima qualità, in sinergia con cliniche private di livello internazionale, specializzate in settori ad altissima richiesta come l’oncologia avanzata o la medicina rigenerativa. Deve funzionare sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro, generare ricavi importanti, occupazione qualificata e flussi sanitari. Deve attrarre pazienti e professionisti da tutta Europa, e perché no, da tutto il mondo. Non un ospedale da chiudere alle otto di sera, né un feudo per la politica interna, ma una vera piattaforma di sanità internazionale, con sede a San Marino, capace di portare innovazione, redditività e prestigi e soprattutto decine di milioni di euro di utile.

E tutto questo è realizzabile anche in breve tempo.

L’altra infrastruttura, l’aeroporto, è altrettanto strategica, con una concessione di un prestito fino ad un milione di euro. Non serve farne una Malpensa, ma un aeroporto executive, ben gestito, rispettoso del territorio e delle comunità locali, capace di generare flussi qualificati, turismo d’élite, business, sviluppo logistico. Sono a conoscenza che ci sono obiezioni da parte di chi vive nelle vicinanze. Ed è giusto ascoltarle e soddisfarle se corrette. Ma non è rinunciando alle infrastrutture che si migliora la qualità della vita. È facendo le cose bene, con intelligenza, equilibrio e visione.

La seconda ipotesi, che sarebbe una naturale conseguenza del rapporto con i sauditi, è ancora più potente: rifinanziare il bond da 350 milioni in scadenza nel 2027, ma stavolta a un tasso dell’1-1,5% anziché al mostruso attuale 7%. Non c’è nulla di garantito, ma non è un’utopia. È una prospettiva concreta, legata alla conclusione dell’accordo infrastrutturale con il Fondo saudita per lo sviluppo. Prima si costruisce il rapporto, poi si apre la trattativa sul debito. I numeri parlano da soli: passare da 25 milioni a circa 3,5 milioni l’anno di interessi significherebbe liberare oltre 20 milioni di euro ogni anno. Che sono gli stessi soldi che il Segretario Gatti cerca disperatamente per soddisfare le esigenze e le richieste del FMI. Una boccata d’ossigeno che cambierebbe il volto delle finanze pubbliche ed un prestito, che produce soldi; un prestito da accettare ad occhi chiusi come dice l’amico Luciano Zanotti.

Per il Fondo Saudita  per lo Sviluppo 100 o 350 milioni sono un’inezia mentre per noi sono essenziali! E lo sappiamo tutti.

E mentre tutto questo è già sul tavolo, sotto gli occhi della politica sammarinese, si continua a perdere tempo sull’Accordo di Associazione, a discuterne come se fosse la chiave per entrare nel paradiso. E nessuno, o quasi, si è accorto di quello che è accaduto nelle Marche il 4 agosto 2025. Una data che, per chi capisce i meccanismi della crescita economica, dovrebbe essere scolpita nella pietra.

Le Marche sono entrate ufficialmente nella Zona Economica Speciale unica italiana. Un passaggio storico, che trasforma una regione dal glorioso passato industriale ma in crisi da anni in una piattaforma di rilancio nazionale. Le ZES non sono teoria: sono sconti fiscali fino al 35%, esenzioni doganali, IVA sospesa, assunzioni incentivate, burocrazia ridotta al minimo. E soprattutto, accesso facilitato ai fondi PNRR e a tutti gli strumenti di sviluppo UE.

I risultati al Sud parlano chiaro: 700 progetti approvati, 27 miliardi di investimenti, 35.000 nuovi posti di lavoro in 18 mesi. Ora le Marche avranno gli stessi strumenti. E San Marino? San Marino potrebbe essere il partner privilegiato di questo sviluppo, a patto che si svegli e non culli sogni suicida come quello dell’Associazione Europea. 

Il diritto europeo, infatti, prevede il finanziamento dei progetti transfrontalieri tra Stati membri e Stati terzi. Esattamente ciò che siamo noi. Se lavoriamo con le Marche su progetti condivisi, sanità, mobilità, sostenibilità, logistica, possiamo accedere ai fondi UE attraverso la porta principale, senza dover firmare nessun Accordo di Associazione che ci costringa ad annullare la nostra autonomia giuridica.

È qui che sta la differenza. L’Europa vera, quella dei territori, delle imprese, dei progetti, è accessibile senza svendere la nostra sovranità.

Basta smetterla con la retorica.

Basta inginocchiarsi davanti alla Commissione Europea sperando in un miracolo.

I miracoli li fanno i governi che sanno leggere il momento storico.

E oggi, il momento è chiaro: i sauditi offrono capitale paziente, cioè un capitale che non ha fretta di produrre interessi ma che punta su progetti che richiedono tempo per maturare, crescere e generare valore, l’Italia apre alle ZES, le Marche diventano una “golden area” piena di fondi e infrastrutture. E noi siamo nel mezzo.

Possiamo scegliere. O stare a guardare subendo i dicktat di Bruxelles in povertà, oppure partecipare.

Il Governo Meloni, piaccia o no, ha fatto un regalo enorme al nostro territorio.

Ha dato alle Marche gli strumenti per ripartire davvero. Sta a noi non restare fuori. San Marino può costruire una strategia nuova, che non passa da Bruxelles ma da Ancona, da Fano, da Macerata, e da Riad.

Il mondo è cambiato. La geografia economica non la disegnano più solo le istituzioni europee, ma le connessioni intelligenti tra regioni, Paesi, culture e capitali.

E l’Arabia Saudita se restiamo fuori dalla gabbia dell’Accordo di Associazione può essere solo il primo partner strategico: il secondo potrebbero essere gli Stati Uniti, o magari la Cina ad esempio.

Ripeto quello che per loro è un granello per noi è una montagna! Ricordiamocelo.

D’altronde, come fatto in passato, San Marino ha sempre sfruttato il fatto di non essere schierata e di capitalizzare la sua posizione di neutralità: rinunciarvi è una pazzia perchè è l’unica carta veramente dirompente che abbiamo.

Nulla è impossibile!

Ora tocca a noi. Possiamo essere intelligenti o ideologici. Lungimiranti o succubi. Sovrani o subalterni all’UE.

Io, come sempre, scelgo la libertà.

Marco Severini
Direttore di GiornaleSM