Avv. Massimiliano Annetta sulla pronuncia della Cassazione sul Caso Ruby-Berlusconi

AnnettaIl Berlusconi politico, fin dalla sua discesa in campo, non mi è mai piaciuto, e non perché portasse il doppio petto o la cravatta a pois, ma perché, sin da quel lontano 1994, mi pareva proporsi come il rinnovato campione di quello che Gramsci definiva il “matrimonio” tra borghesia umbertina e plebi incolte che aveva fatto da brodo di coltura al ventennio fascista.

Insomma Berlusconi non mi piaceva e non mi piace, parafrasando più prosaicamente Gaber, poiché espressione della italica borghesia “statale, parastatale e affine”. Allo stesso modo di come dopo di lui non mi sarebbero piaciuti i Di Pietro e i Grillo: né di destra né di sinistra, espressione di una politica vuota, fatta con la sola coerenza dei sondaggi.

Ma questa è politica e non c’entra, o meglio non dovrebbe entrarci, con la giustizia, ché, come ammoniva Calamandrei, “quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra”.

Ieri, sul piano giudiziario, Berlusconi ha conseguito una indubbia vittoria.

La Cassazione ha confermato la sentenza di assoluzione della Corte di Appello di Milano e questo chiude il capitolo certamente più infamante delle sue traversie giudiziarie. Subito è stato un fiorire di difensori di ufficio dell’accusa e delle sue tesi che hanno, come nel luglio scorso, tirato in ballo la Legge Severino e lo stanco refrain delle leggi ad personam.

L’argomento, all’un tempo, prova poco e prova troppo.

Prova poco perché non è dato comprendere come lo spacchettamento del vecchio art. 317 del codice penale, che disciplinava la concussione, nel novellato 317 e nel nuovo 319 quater, abbia determinato le sorti processuali dell’ex premier. Ma, soprattutto, prova troppo perché pretende di svilire l’assenza di “indebito vantaggio” a elemento senza importanza. Insomma la Severino, ben lungi dall’essere una legge ad personam, ha solo fatto esplodere l’incongruenza di un’accusa per concussione senza concusso (Ostuni ha sempre negato di essersi sentito condizionato) e di uno strano processo nel quale, al netto delle “furbizie orientali” di Ruby, l’accusa ha rinunciato, chissà perché, alla sua testimonianza.

Ma non è neppure il piano giudiziario ad interessarmi, bensì quello più squisitamente politico-culturale.

Titolo a cinque colonne di Repubblica, un grido disperato: “La Cassazione salva Berlusconi”. Salva, non conferma, né assolve (che pure sarebbe stata un’improprietà, ché la Cassazione non assolve e non condanna e, cari giornalisti che vi occupate di giudiziaria, almeno i rudimenti della procedura penale sarebbe bene conoscerli).

Non mi ha sorpreso il titolo di Repubblica perché comprendo che sia dura riconoscere, per tutti coloro che per anni hanno spacciato, e non solo nei confronti di Berlusconi e dei suoi pruriginosi bunga bunga, un avviso di garanzia per una condanna definitiva o intercettazioni prive di alcun rilievo penale, nelle quali magari si parlava di corna, come verità rivelate, che ieri hanno, loro si, ricevuto una condanna definitiva. Perché hai voglia a dire nella società dominata dai media che la giustizia non ha risolto i suoi problemi con l’informazione; la questione è palindroma, ché nemmeno l’informazione ha risolto i suoi problemi con la giustizia.

Lo schema è sempre il solito: interscambio interessato tra notizie e pubblicità. Giornalismo da riporto, l’ha definito qualcuno. Io do’ le notizie al giornalista amico e in cambio ascendo all’empireo della notorietà. Ci si sono costruite carriere da una parte e dall’altra, solleticando la pancia di una società malata che ha bisogno di eroi per coprire i propri vuoti. Bene, anzi male.

Questa informazione, che ha sobillato il giustizialismo di massa di un’ opinione pubblica sempre più impoverita ed impaurita, che vede nella caduta del potente un mezzo per confermare i suoi sospetti anticasta e per assolvere sempre e comunque se stessa, ha creato i presupposti per un grave arretramento civile.

Ieri, anche se quasi nessuno l’ha detto, per questa colpa è stata condannata.

Massimiliano Annetta, avvocato penalista