Mentre il governo di Andorra si affanna a mostrare entusiasmo per l’accordo di associazione con l’Unione Europea, c’è una voce netta di dissenso che si alza con chiarezza e forza: quella degli operatori immobiliari. Non si tratta di capriccio o resistenza ideologica, ma di una contrarietà fondata su motivazioni concrete e strategiche che meritano attenzione.
Secondo l’ultimo sondaggio della Camera di Commercio, ben il 47,1% degli immobiliaristi andorrani ha espresso parere negativo sull’accordo, facendo di questo comparto il più ostile in assoluto, più critico perfino di commercio, costruzioni, sanità o trasporti. I motivi? Sono tutti sotto gli occhi di chi voglia davvero guardare.
Il primo e più immediato timore riguarda la fine delle limitazioni agli investimenti esteri. Con l’applicazione del principio della libera circolazione dei capitali, verrebbero meno tutte le attuali autorizzazioni e restrizioni che oggi proteggono il mercato immobiliare interno. Questo aprirebbe la porta a capitali stranieri enormi, soprattutto da parte di fondi d’investimento o gruppi europei con potenza economica schiacciante. Le conseguenze sarebbero devastanti: prezzi degli immobili in impennata, abitazioni sempre più inaccessibili per i cittadini andorrani, e perdita totale di controllo sul territorio. In un sistema fragile come quello di un microstato, la terra non è solo un bene economico, è un elemento di sovranità.
Altro elemento critico è l’arrivo dei grandi gruppi immobiliari europei, che approfitterebbero dell’apertura del mercato per conquistare spazi oggi riservati alle piccole agenzie locali. Con più capitali, più strumenti, reti promozionali avanzate e capacità di assorbire i costi burocratici futuri, questi colossi metterebbero fuori gioco gli attori locali in pochissimo tempo. La redditività si ridurrebbe, la concorrenza diventerebbe asimmetrica, e molte imprese familiari o tradizionali sarebbero costrette a chiudere. Si distruggerebbe così un intero tessuto imprenditoriale per fare spazio ai soliti noti della finanza globale.
L’adeguamento alle direttive europee è un altro fattore che preoccupa seriamente il settore. Oggi Andorra gode di una certa flessibilità urbanistica e regolatoria che ha permesso uno sviluppo edilizio equilibrato, ma anche veloce e adattabile. L’accordo imporrebbe invece una nuova mole di burocrazia, norme ambientali stringenti, regole fiscali più invasive. Costruire, ristrutturare e vendere immobili diventerebbe molto più oneroso e lento, portando a una perdita di competitività generalizzata.
A tutto questo si aggiunge una dinamica che tocca direttamente la vita quotidiana della popolazione: la pressione demografica. L’ingresso nel mercato unico comporterebbe una maggiore mobilità dei cittadini europei, con un aumento sensibile della domanda abitativa sia residenziale sia turistica. Questo scenario, già oggi teso in molti settori, potrebbe portare a una situazione di surriscaldamento del mercato, con una bolla immobiliare pronta a esplodere o, al contrario, a un’improvvisa saturazione che bloccherebbe vendite e affitti. E proprio il mercato degli affitti è uno degli ambiti dove si sentono già i primi segnali di crisi: i canoni stanno salendo a ritmi preoccupanti, spinti dalla domanda internazionale. Se l’accordo entrasse in vigore, il rischio è che i residenti non riescano più a permettersi di vivere nel proprio Paese, costretti a emigrare o ad accettare condizioni sempre più precarie.
Ma forse il vero punto critico, quello che nessuno osa dire apertamente, è che con questo accordo Andorra rischia di perdere il controllo sovrano su un settore chiave come quello immobiliare. La gestione autonoma delle regole del territorio, delle transazioni e dei vincoli diventerebbe subordinata a Bruxelles, a norme scritte da chi non conosce né la geografia né la storia sociale del Principato. È una cessione silenziosa ma gravissima di potere, che va ben oltre le apparenze tecnocratiche dell’intesa.
Di fronte a tutto questo, la voce degli immobiliaristi non può essere ignorata o liquidata come egoismo di categoria. È invece una spia accesa su un rischio reale e imminente. Chi sostiene l’accordo dovrebbe rispondere punto su punto, senza frasi fatte né rassicurazioni vaghe. Perché quando si toccano il suolo, la casa e il diritto di abitare, non c’è sovranità che possa permettersi di essere venduta all’asta.
Marco Severini, direttore GiornaleSM