Ad Ancona, il dibattito sugli sbarchi è ormai un fiume in piena. Venerdì 22 agosto è atteso l’arrivo della nave umanitaria Ocean Solidaire, con 64 migranti a bordo. Non sarebbe la prima volta: la stessa imbarcazione, ad aprile, aveva già attraccato con 170 persone, e solo poche settimane fa, il 26 luglio, era stata la Life Support a scaricare altri 70 migranti nel porto dorico.
Per il sindaco Daniele Silvetti, eletto con il centrodestra, il limite è stato superato. «Ancona ha dato, ora si guardi altrove», ha scritto sui social. E il tono non è solo di fastidio, ma di aperta denuncia: la città – sostiene – ha sempre garantito soccorso, strutture, beni di prima necessità. Ma oggi non si può più ignorare che i porti adriatici stiano diventando terminali fissi di una gestione nazionale che concentra sbarchi lontani dai punti di recupero in mare.
Il sindaco non si ferma alle ONG, accusate di agire «strumentalmente» nel trasporto dei migranti. Il messaggio più pesante è indirizzato al suo stesso governo: «Mi aspetto una rivisitazione complessiva della situazione – scrive – anche alla luce delle esigue risorse e della continuità delle attività portuali».
Una presa di posizione che mostra crepe interne alla maggioranza. Perché se da un lato il centrodestra regionale applaude la linea dura – Maria Grazia De Angelis di Fratelli d’Italia ha chiesto di dirottare i migranti “in Toscana” – dall’altro arrivano critiche dall’opposizione locale. Francesco Rubini, di Altra Idea di Città, liquida le dichiarazioni di Silvetti come «un eloquio confuso, parole fuori luogo, utili solo in chiave elettorale».
I numeri confermano il disagio: dal gennaio 2025 al 20 agosto, ad Ancona sono sbarcate sette navi umanitarie. A livello nazionale, secondo Il Resto del Carlino, quello marchigiano sarebbe il diciannovesimo attracco dall’inizio dell’anno, con Ravenna che ha gestito persino flussi più consistenti.
Eppure, come ricordano alcune testate, molti dei migranti sbarcati ad Ancona vengono successivamente redistribuiti in altre regioni. Un dettaglio che però non sembra bastare ad alleggerire la percezione di emergenza: il sindaco ribadisce che la città non può trasformarsi in un hub permanente, pena la paralisi delle attività portuali e delle risorse di accoglienza.
La vicenda si intreccia inevitabilmente con la politica nazionale. Da tempo il Viminale sceglie di distribuire gli sbarchi su più porti italiani, anche lontani dalle aree di salvataggio. Una strategia che, nelle intenzioni, dovrebbe evitare il sovraccarico di Sicilia e Calabria, ma che ora mette in difficoltà regioni come le Marche.
Il risultato è un braccio di ferro che non riguarda solo Ancona. La sensazione è che la gestione migratoria sia diventata una partita di equilibri geografici e politici, in cui ogni territorio rivendica di aver “già dato”.
Ancona non si tira indietro dal soccorso, ma reclama respiro. Nelle parole di Silvetti c’è insieme la consapevolezza di un dovere morale e il timore che la solidarietà si trasformi in zavorra per una città che vive di porto, commercio e turismo.
Ora la palla è al governo: redistribuire in modo più equo o rischiare che lo scontento, dalle banchine marchigiane, diventi un tema nazionale di campagna elettorale.