
Nell’ambito del mio intervento, ho solamente e modestamente espresso alcune considerazioni critiche sul tavolo tripartito, che hanno avuto molto risalto, sottolineando le colpe di tutte e 3 le parti in causa nel non riuscire a concentrarsi abbastanza sulla prospettiva economica del Paese, sulle condizioni (fiscali, normative, del lavoro, ecc…) che serviranno al Paese per attrarre una nuova economia.
Parlo di nuova economia non perchè io pensi che il settore secondario debba perdere il suo ruolo (tutt’altro, credo molto più all’economia reale, produttiva, orientata alla produzione di beni e alla ricerca, che non a quella “finta” che è sempre stata così diffusa in questo Paese) ma perchè penso che si debba investire in nuovi settori, che sono diversi da quelli su cui ci si è in prevalenza concentrati finora.
Diversi sia per come competono (livelli di automazione, mercati di sbocco, spese per ricerca e sviluppo, ecc…) sia per dove competono: la nostra economia è prevalentemente attiva in settori tradizionali dell’economia, quelli che soffrono di più la concorrenza dei Paesi in via di sviluppo. In ciò non diversamente dall’Italia (unico mercato di sbocco per la gran parte delle nostre imprese), la quale Italia, non a caso, patisce la crisi molto più di quei Paesi europei che più hanno investito nei nuovi settori in espansione (vedi Germania o paesi del Nord Europa).
Non penso sia un caso che vi siano tantissime imprese a San Marino che vivono solo grazie ad ampie defiscalizzazioni, come dimostra il dato citato dall’Anis sulla somma delle imposte dirette versate.
L’Anis si muove in modo perfettamente coerente con l’economia che principalmente rappresenta, e chiede di ridurre il costo del lavoro, sempre di più e in tutte le forme in cui può ridurlo (flessibilità di orario, aumento dell’orario a parità di salario, riduzioni fiscali e/o incentivi a carico dello Stato, ecc…).
Lo giustifica, chiaramente, con la situazione di pesante crisi (che di certo non nego), ma si dimentica di dire che il nostro sistema produttivo mostrava ampi segni di difficoltà anche prima dello scoppio della crisi e che già ben prima della crisi puntava a questi stessi obiettivi di riduzione del costo del lavoro. Dice che lo propone(va) per competere con i suoi concorrenti, dimenticando di dire che quella sul costo del lavoro è solo una delle forme di competizione, e che ci sono anche imprese (e Paesi) che puntano su altre forme di competizione.
Penso che il nostro piccolo sistema non possa permettersi di competere sul costo del lavoro, mirando a ridurlo sempre più. Non lo sosteniamo, così come non lo sostiene più nessun Paese europeo. Ecco perchè ho parlato, usando un termine forte, di economia finita. In prospettiva, un’economia che compete così, è finita.
Dall’Anis, nei famosi 15 punti, non ho sentito molte proposte miranti a chiedere più formazione, più qualificazione dei dipendenti, più fondi per la ricerca e lo sviluppo, migliori infrastrutture tecnologiche, più facilitazioni per ampliamenti e investimenti in nuovi impianti, ecc…Questo è quello che serve alla nostra economia del futuro, che, io penso, dovrà fondarsi su nuovi settori, sulla ricerca, sulla formazione delle risorse umane, sulla flex-security, sulla tecnologia; non davvero sul costo del lavoro. È a fare questo, credo, che dovremo aiutare le imprese ed è qui che dovremo indirizzare sforzi e risorse, che, ricordo, non sono infinite…
Andrea Zafferani