Dopo otto mesi è finita la latitanza di Giulio Lolli, imprenditore bolognese patron della Rimini Yacht, l’azienda specializzata in barche di lusso ed improvvisamente entrata in crisi licenziando i dipendenti. Era quindi emerso un giro di assegni protestati e un maxi buco finanziario. Nel luglio scorso l’avvio dell’inchiesta, anche in seguito alla scomparsa di un’imbarcazione da 5 milioni di euro dalla darsena di Rimini. Seguita durante l’estate da numerose altre sparizioni simili. Nel corso delle indagini la Rimini Yacht è stata dichiarata fallita con un ammanco complessivo di 50 milioni di euro mentre Lolli a maggio era già sparito. Ad incastrare Giulio Lolli è stato un movimento di denaro sospetto che dalla Svizzera stava per finire nelle banche tunisine: un bonifico da 700mila euro che ha insospettito gli inquirenti elvetici che hanno sequestrato la somma e messo sull’avviso i colleghi italiani permettendo di concentrare le indagini sui Paesi del nord Africa.
Oggi Lolli è stato arrestato a Tripoli, capitale della Libia, dalle forze dell’ordine libiche, con una operazione congiunta tra Ros e Capitaneria di Porto denominata “Jack Sparrow”, in seguito al mandato di cattura internazionale spiccato dalla Procura di Rimini. La difficoltà principale nel cercare di rintracciare il patron della Rimini Yacht è stata quella che il ricercato aveva tagliato completamente i ponti con i parenti rimasti in Italia. Secondo quanto emerso dalla Procura riminese, Lolli potrebbe ritornare in Italia tra 30 giorni ma non si esclude che il pm che ha seguito il caso, Davide Ercolani, possa recarsi in Libia per una rogatoria internazionale in maniera da ascoltare l’imprenditore di origini bolognesi prima ancora del suo rientro in patria. A Rimini deve rispondere di associazione a delinquere, truffa, appropriazione indebita, falso e riciclaggio – in pratica Lolli vendeva gli stessi yacht a più acquirenti – mentre un’altra indagine di Bologna ipotizza verifiche fiscali “addomesticate” della Finanza, in base a queste quattro finanzieri sono ai domiciliari, mentre l’ex generale Angelo Cardile si suicidò durante una perquisizione nella sua casa di Bologna.