In un momento storico in cui si parla tanto di emergenze, ce n’è una che continua a crescere nel silenzio, tra l’indifferenza di chi dovrebbe guidare il cambiamento: la difficoltà, per molte famiglie sammarinesi, di trovare una casa nelle propria terra. E non stiamo parlando di persone prive di volontà o di mezzi. Parliamo di giovani, di coppie, di nuclei familiari che hanno fatto tutto il possibile per restare qui, e che si vedono costretti a valutare soluzioni fuori confine. È una ferita per la Repubblica. Una ferita che riguarda tutti.
Il sistema di oggi sembra proteggere con più efficacia chi vive solo su carta a San Marino, rispetto a chi qui ci abita, lavora, cresce figli e contribuisce ogni giorno al bene collettivo.
Le cosiddette Residenze Atipiche, nate forse con buone intenzioni, stanno oggi occupando uno spazio che spetterebbe, per logica e per giustizia, a chi desidera davvero costruire il proprio futuro nella nostra comunità. È ora di avere coraggio di dirlo: questa formula va ripensata, e con essa va ripensata la politica abitativa nella sua interezza.
Perché è evidente che qualcosa si è rotto, e continuare a far finta di niente significa soltanto aggravare la frattura. San Marino non può diventare una terra di passaggio o una soluzione di comodo. Deve tornare a essere un luogo in cui vivere è una scelta consapevole, non un’occasione burocratica.
E se davvero vogliamo rilanciare la natalità, se vogliamo evitare la chiusura delle scuole, se vogliamo trattenere le nuove generazioni, dobbiamo iniziare proprio da qui: dalla casa, dal diritto di rimanere.
Perché una famiglia può mettere radici solo se ha la possibilità concreta di farlo. E questo significa garantire l’accesso alla casa a condizioni dignitose, in linea con la realtà dei redditi, non con la speculazione.
Non si può chiedere a una famiglia di investire tutto nell’affitto, sacrificando ciò che è essenziale per crescere dei figli: la scuola, lo sport, la salute, il tempo insieme.
Occorre cambiare approccio. Anziché continuare ad aprire le porte a chi non ha radicamento reale, iniziamo a riconoscere il valore di chi sceglie di restare. Pensiamo a percorsi di inclusione per giovani motivati, per famiglie che vogliono inserirsi pienamente nella nostra quotidianità, contribuire al nostro sistema scolastico, portare vitalità dove oggi c’è solo resistenza al cambiamento.
Una scuola senza bambini chiude. Una comunità senza famiglie si spegne. Ma una Repubblica che ascolta, si rinnova.
Le cose inizieranno a migliorare solo quando la consapevolezza diventerà collettiva. Quando smetteremo di proteggere ciò che è solo forma e inizieremo a difendere ciò che è sostanza.
Restituire dignità all’abitare significa ricostruire un legame autentico tra la persona e la sua terra. E questo legame si fonda su scelte chiare, giuste, a volte anche difficili, ma necessarie.
Perché l’identità di un Paese non si misura sui documenti. Si misura nella volontà concreta di viverlo, giorno dopo giorno.
Maurizio Tamagnini