Il cattivo di gusto della vignetta della rivista francese non deve e non può spostare di una virgola le convinzioni profonde che sono proprie del nostro modo di vivere e di intendere le libertà. Charlie Hebdo fa da sempre una satira aggressiva, politicamente scorretta, irritante e a volte disturbante. Lo sapevamo già, anche prima dell’attentato che ha colpito la redazione parigina il 7 gennaio 2015 e ha provocato 12 vittime
La vignetta di Charlie Hebdo con le vittime del terremoto incastrate sotto le macerie definite “lasagne” è brutta. Brutta assai, di pessimo gusto, non fa ridere, non ha senso alcuno. Detto questo, però, dobbiamo metterci d’accordo sulla libertà di espressione e di satira, sulle libertà occidentali che ogni volta che un terrorista islamico si fa esplodere difendiamo con così tanto trasporto e orgoglio.
Perché il cattivo di gusto della vignetta della rivista francese non deve e non può spostare di una virgola le convinzioni profonde che sono proprie del nostro modo di vivere e di intendere le libertà. Charlie Hebdo fa da sempre una satira aggressiva, politicamente scorretta, irritante e a volte disturbante. Lo sapevamo già, anche prima dell’attentato che ha colpito la redazione parigina il 7 gennaio 2015 e ha provocato 12 vittime.
Quando i fratelli Kouachi si erano resi responsabili di quella orribile carneficina, ognuno di noi si è sentito colpito nel profondo, perché la libertà di dire qualsiasi cosa, anche la più clamorosa sciocchezza, è uno dei pilastri del nostro modo di vivere. Si dirà: in quel caso si sfotteva una religione, mica trecento morti uccisi da un terremoto. Giusto, distinzione corretta, ma che comunque non cambia il succo della questione. La satira è satira sempre, non possiamo innescare un meccanismo selettivo per cui va bene quando colpisce quelli che (erroneamente) identifichiamo come nemici e va male quando scherza con pessimo gusto e zero efficacia comica su una tragedia successa in casa nostra.
Il problema, dalle nostre parti, è che siamo poco o per nulla abituati a una satira e a una comicità realmente politicamente scorretta, che non guarda in faccia nessuno, che ironizza anche su tragedie immani o su temi sensibili come razzismo, omofobia e stereotipi di qualsiasi genere. Per fortuna non tutto l’Occidente è come l’Italia, e per rendersene conto basta semplicemente andare a cercare su Netflix i tanti speciali distand up comedy che il servizio di streaming offre ai propri abbonati. Troverete, tra l’ultima serie di grido e i cartoni per i vostri bimbi, un catalogo ricco di spettacoli comici che farebbero accapponare la pelle a molti di quelli che oggi si ribellano indignati alla brutta vignetta di Charlie Hebdo.
David Cross, John Mulaney, Jen Kirkman, Jimmy Carr, Jim Jefferies, sono solo alcuni dei nomi di grandi comici che, in giro per gli Stati Uniti (o al massimo in Inghilterra), sparano a zero su afroamericani, gay, donne, pedofilia e persino sull’11 settembre, irridendo vittime e carnefici senza distinzione. L’attacco alle Torri Gemelle è sicuramente una ferita ancora aperta e sanguinante per gli americani, ma questo non vieta ai migliori comici del Paese di scherzarci su, di fare satira feroce, di irridere persino i morti.
È giusto? È sbagliato? È una discussione che potrebbe andare avanti all’infinito, con le due opinioni contrastanti che non si incontrerebbero mai. Quello è certo, però, è che è lecito. Giusto o sbagliato chi lo sa, lecito di sicuro. Perché è così che funzionano le cose nei Paesi liberi, nelle democrazie liberali, in quella che secondo molti di quelli che criticano oggi Charlie Hebdo (e magari ne chiedono la chiusura o, peggio, si rammaricano del lavoro a metà dei terroristi nel gennaio 2015) è una “civiltà superiore”. A proposito di stereotipi e di cose che non andrebbero dette, forse è il caso di rispolverare un greve ma sempre efficace adagio: col culo degli altri, siamo tutti ricchioni.
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