
Testa e cuore a Napoli e a Bologna, nervi tesi a Milano, Roma e Torino. Paradossalmente il M5s di Giuseppe Conte gioca di rimessa nelle città dove presenta un proprio candidato, mentre punta tutto sui due capoluoghi in cui è riuscito a sistemarsi sotto l’ombrello del centrosinistra giallorosso. Segno dei tempi, rispetto a cinque anni fa il mondo è cambiato. E se allora il Movimento di Beppe Grillo conquistava la nuova e la vecchia capitale in virtù della sua capacità di raccogliere voti a destra e a sinistra, oltre i partiti, adesso Conte spera di salvare il risultato con il civico ed ex ministro Gaetano Manfredi, un tecnico più vicino ai dem che ai pentastellati, e con Matteo Lepore, candidato di sinistra doc. Nelle altre tre grandi città al voto, l’ex premier si è mosso con circospezione. Tra l’obbligo di spendersi per gli aspiranti sindaci stellati e la necessità di non disturbare gli alleati-avversari, indispensabili per realizzare il sogno di tornare a Palazzo Chigi da federatore di una coalizione Pd-M5s.
Conte ripartirà da Napoli, dove i Cinque Stelle possono essere primo partito. Ma da martedì dovrà fare i conti con l’atteggiamento da tenere ai ballottaggi. Al Nazareno attendono un segnale. Proibitivo l’apparentamento ufficiale, la speranza di Enrico Letta è che l’avvocato sciolga comunque le riserve, dando l’indicazione di voto per i candidati del Pd. Il presidente del M5s dovrà calibrare una dichiarazione che accontenti i partner di centrosinistra e allo stesso tempo eviti l’implosione del suo partito, che in tanti contesti locali è ostile ai dem. Tutt’intorno le macerie. Nel 2016 il M5s presentò le sue liste in 251 comuni, in questa tornata il simbolo compare in «circa 150 comuni», come ha spiegato Conte. Per rendersi conto dei cambiamenti bastava osservare la chiusura della campagna elettorale a Roma. Venerdì sera Grillo si è palesato solo al telefono. «Virginia, se perderai non sparirai», le parole di resa del Garante all’eroina grillina di cinque anni fa. Movimento lento.
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