CROLLO DELLE NASCITE A SAN MARINO O CROLLO DELLA NOSTRA CULTURA? … di Don Gabriele Mangiarotti

Amicus Plato sed magis amica veritas. E se provassimo a cambiare? Se l’amicus fosse invece inimicus? Ho imparato che nel cammino della ricerca della verità più di colui che ti parla, conta ciò di cui ti parla, e che ci sono molte più cose in cielo e in terra che nella filosofia dell’interlocutore (per parafrasare Shakespeare). Non siamo in una lotta per bande, e tra uomini è meglio parlare di avversari o di diversità che di nemici (che pure ci sono, quando la loro intenzione non è pura, e il potere diventa il criterio del rapporto). Troppe volte ho assistito al rifiuto o al silenziamento di posizioni (pur vere e motivate) solo per la semplice ragione del rifiuto di colui che le proponeva. E qui varrebbe pure la pena di affrontare la questione del servizio pubblico, visto che di crisi della Televisione di Stato si parla da tempo. Senza pluralismo e cordiale ospitalità delle voci discordanti, se rispettose, non ci sarà mai libertà di informazione e dialogo civile.

Ho letto con interesse quanto il Segretario Canti afferma a proposito della crisi della natalità in San Marino: «Da gennaio a giugno sono nati 63 bambini, ben 37 in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A fine 2023 erano 191 i nuovi nati e, all’epoca, era già record negativo.

“Sono dati preoccupanti ed è il segnale che la famiglia è in difficoltà”».

Sono certo dati preoccupanti, e abbiamo già sostenuto, varie volte, che di fronte a questa emergenza il Referendumsull’aborto certo non ha favorito una seria riflessione, né ha consentito che si cercassero ragioni adeguate per la crisi riconosciuta. A dire il vero è stato un tassello di quella deriva antinatalista. Un tassello, ma non la causa. Una conseguenza, questo sì.

Credo che sarebbe utile approfondire le ragioni di questa crisi, innanzitutto cercando di capire la cultura che la genera o la sostiene.

Parto da una affermazione che mi è cara: «La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori». Così Mons. Camisasca commenta questo giudizio di don Giussani: «Anzitutto si parla di “coscienza della realtà”. Esiste dunque qualcosa che viene prima della ragione; anzi, la ragione è preceduta da tutto l’essere. Alla ragione però è affidata l’insostituibile funzione di costituire lo strumento attraverso cui la realtà prende coscienza di se stessa. Chiunque abbia un minimo di conoscenza della storia del pensiero occidentale intuisce il peso di tali affermazioni. Perché da sempre, fin dagli albori della filosofia, vi sono stati grandi pensatori che hanno visto nell’uomo l’artefice della realtà, il criterio supremo dell’esistere delle cose (l’uomo misura di tutto), e altri grandi pensatori, dai sofisti fino a Kant e Hegel, secondo i quali non esiste un pensiero oggettivo e non si può uscire dalla soggettività. La filosofia classica e cristiana si è invece costituita come difesa di un’evidenza: sebbene l’essere esista al di fuori dell’uomo, precedendo qualunque pensiero, l’uomo può comunque conoscerlo nella sua verità, grazie alle capacità di cui egli è dotato per natura. Resterà per sempre centrale la definizione: “Veritas est adaequatio rei et intellectus”».

Non si dica che sono pensieri troppo elevati. Qui si tratta di comprendere chi siamo e quale sia la nostra responsabilità nel mondo.

Possiamo pensarci artefici della realtà, e quindi padroni. Possiamo pensare che la dimensione religiosa non ci compete, anzi che vada espunta dalla convivenza pubblica e civile, restando un affare eminentemente privato. Possiamo pensare che la nostra storia e le nostre radici cristiane siano un retaggio del passato, meglio, un relitto da abbandonare.

Ok, ma non possiamo pensare che per fare diventare questa posizione determinante, l’unico strumento siano il potere, che diventa l’arbitrio della educazione (sessuale, ma non solo) affidata allo stato, il rifiuto della cultura della sussidiarietà, che vede con sospetto e fastidio ogni impresa frutto del libero intraprendere dell’uomo e delle realtà sociali intermedie, una concezione della famiglia che non ne riconosca la struttura naturale (e storica-universale) facendola diventare realtà frutto di volontà individuale, quando non di capriccio.

Il grande poeta Eliot nei Cori della Rocca così si esprimeva:

«Che vita è la vostra se non avete vita in comune? / Non esiste vita se non nella comunità, / E non esiste comunità se non è vissuta in lode di Dio. / Persino l’anacoreta che medita in solitudine, / Per il quale giorni e le notti ripetono le lodi di Dio, / Prega per la Chiesa, il Corpo di Cristo incarnato. / E ora vivete dispersi su strade che si snodano come nastri, / E nessuno conosce il suo vicino o si interessa a lui / A meno che il suo vicino non gli arrechi troppo disturbo, / Ma tutti corrono su e giù con le automobili, / Familiari con le vie ma senza un luogo in cui risiedere. / E nemmeno la famiglia si muove tutta unita, / Poiché ogni figlio vorrebbe la sua motocicletta, / E le figlie cavalcano sellini casuali. / Molto da abbattere, molto da costruire, molto da sistemare di nuovo; / Fate che l’opera non venga ritardata, che il tempo e il braccio non siano inutili; / L’argilla sia tratta dalla cava, la sega tagli la pietra, / Nella fucina il fuoco non si estingua».

Poesia? Non solo. Ma consapevolezza che il compito che ci aspetta è la ricostruzione di quella cultura che ci ha generato, conservandola e facendola rivivere nelle mutate condizioni storiche, sapendo che proprio qui da noi tale cultura è custodita nei cuori, in certe istituzioni, in molti tentativi educativi e esperienze che purtroppo non hanno voce in capitolo, che si vorrebbero mantenere minoritarie ma che come un fuoco sotto la cenere aspettano qualcuno che dia ossigeno per rivitalizzarle.

Spero che in una realtà come la nostra si possa ricostruire quel tessuto di valori ed esperienze che sembra franare nel resto del mondo, che si smetta di guardare alla nostra esperienza e fisionomia come al «fanalino di coda» della storia. Abbiamo un patrimonio di valori e una responsabilità che non possiamo mandare al macero. Ne va della vita comune.

E per rispondere nello specifico al Segretario Canti, penso che la crisi della natalità sarà superata dalla ripresa della famiglia e dalla sua difesa con soluzioni concrete e realiste, e forse anche innovative (il welfare è sempre stata una caratteristica buona di San Marino, ma non ha certo contribuito all’incremento demografico).

È una cultura che dobbiamo ricostruire.

 

don Gabriele Mangiarotti