È il giorno dell’udienza del processo in Corte di assise a Parma per Chiara Petrolini, ai domiciliari da circa un anno e imputata del duplice omicidio dei suoi figli neonati. Quando in aula è stata mostrata la foto scattata dal 118 del neonato trovato morto nella casa di Vignale di Traversetolo il 9 agosto 2024, la 22enne madre del bambino ha chiesto di uscire. Lo ha chiesto il suo difensore, avvocato Nicola Tria, mentre era da poco iniziata la deposizione del maresciallo della stazione del paese, Carlo Salvatore Perri, il primo a intervenire sul posto. Petrolini si è quindi allontanata.
Il maresciallo in lacrime
Il maresciallo Carlo Salvatore Perri, in servizio alla stazione di Traversetolo, si è commosso all’inizio della testimonianza quando ha raccontato del ritrovamento del neonato: «Vidi questo corpicino – ha detto rispondendo alle domande della pm Francesca Arienti – e le dico ho difficoltà, essendo padre, in quel momento non sono stato bene».
Perri fu uno dei primi ad intervenire nella casa dove vive l’imputata, Chiara Petrolini, con la famiglia e dove si trova tuttora ai domiciliari. Quando venne trovato il corpo del neonato la famiglia era all’estero. In seguito, col proseguire delle indagini, venne trovato un secondo corpo, circa un mese dopo, di un bambino partorito sempre dalla 22enne un anno e mezzo prima. Secondo l’ accusa la ragazza li ha uccisi entrambi, appena nati.
Anche l’ex fidanzato esce dall’aula
Anche l’ex fidanzato di Chiara Petrolini, Samuel Granelli, ha chiesto di uscire dall’aula dopo che sono state mostrate le foto del neonato: il giovane, padre di entrambi i neonati partoriti dalla ragazza, si è allontanato con il volto provato, durante la deposizione di Domenico Sacchetti, comandante del nucleo investigativo dei carabinieri del comando provinciale, che stava ricostruendo le fasi del ritrovamento del corpicino, il 9 agosto 2024.
Samuel Granelli nei mesi scorsi ha riconosciuto i figli, chiamandoli Angelo Federico e Domenico Matteo, dando loro il suo cognome e firmando l’atto di nascita e di morte. Anche Chiara aveva partecipato al procedimento. La benedizione delle salme e la sepoltura erano avvenute in forma privata a marzo scorso.
«Ho fatto tutto da sola»
«Nessuno sa nulla, ho fatto tutto da sola», le parole di Chiara Petrolini registrate nelle intercettazioni ambientali mentre parlava con i suoi genitori, ad agosto 2024, dopo che i carabinieri avevano convocato lei, il padre e la madre, al rientro dagli Usa, per notificare i primi atti di indagine e per informarli che il neonato trovato nel giardino risultava essere figlio del fidanzato della ragazza.
Le conversazioni sono state ripercorse in aula dal tenente colonnello dei carabinieri di Parma, Domenico Sacchetti. «Dopo un’iniziale negazione – ha spiegato l’ufficiale – ci fu un’ammissione di responsabilità» sul fatto che lei fosse la madre del bambino «a cui i genitori reagirono con incredulità”. Chiara disse di non aver ucciso il bambino, disse che era nato morto. E su come avesse fatto a partorire, «ho spinto, ho spinto e basta ed è venuto fuori», spiegò ai genitori.
«Si mostrò come una ragazza spaesata – ha proseguito l’investigatore chiamato a testimoniare dalla pubblica accusa – Disse: ‘Non sapevo cosa fare, non sapevo come dirvelo, avevo paura, nessuno sapeva nulla’» e, a richiesta, aggiunse che neppure l’allora fidanzato e padre del bimbo, Samuel Granelli, sapeva nulla. «Non se n’è mai accorto, non lo sa», le parole della 22enne.
La 22enne tornata a casa
Dopo essere uscita dall’aula quando è stata proiettata la foto del cadavere del suo secondogenito, ritrovato il 9 agosto 2024, Chiara Petrolini è rientrata in aula per il conferimento dell’accertamento psichiatrico alle perite nominate dai giudici, Marina Carla Verga e Laura Ghiringhelli. Poi, come aveva annunciato il suo difensore, Nicola Tria, la giovane è uscita definitivamente dall’udienza, rinunciando a presenziare e rientrando a casa dove è agli arresti domiciliari.
Quando è uscita dall’aula il padre, presente tra il pubblico, l’ha raggiunta. Le perite, affiancate dai consulenti delle parti, dovranno visitare la 22enne, acquisendo documentazione clinica e processuale ed esprimersi sulla capacità di intendere di volere all’epoca dei fatti e, in caso di incapacità, sulla pericolosità sociale della ragazza accusata di aver ucciso, subito dopo averli partoriti, i due figli neonati, concepiti con l’ex fidanzato, Samuel Granelli, suo coetaneo.
Delle due gravidanze, a circa un anno e mezzo l’una dall’altra, nessuno avrebbe saputo nulla. Né famiglia, né amici, né il fidanzato. Le operazioni inizieranno il 25 settembre alle 16.30. Le perite hanno chiesto un termine di 90 giorni alla Corte di assise, presieduta dal giudice Alessandro Conti. Saranno chiamate a testimoniare al processo il 2 febbraio 2026. Chiara Petrolini sarà sottoposta a test e autorizzata a raggiungere lo studio delle perite, per sottoporsi agli incontri.
«Tutti escludevano fosse incinta»
Nella prima fase «tutti escludevano nella maniera più categorica possibile che Chiara Petrolini potesse essere in gravidanza», ha raccontato il tenente colonnello dei carabinieri Domenico Sacchetti, comandante del nucleo investigativo di Parma. All’epoca del ritrovamento del secondo neonato morto la famiglia Petrolini era negli Stati Uniti in vacanza e non si sapeva ancora di chi fosse figlio e cosa fosse successo.
Durante una telefonata con l’ufficiale dell’Arma, «il padre escluse che la figlia fosse in gravidanza, disse che recentemente aveva avuto il ciclo, non riusciva a darsi spiegazioni». Anche la madre, ha detto Sacchetti, riferì della perdita di sangue in taverna, dove la ragazza dormiva in estate, legata alle mestruazioni. E Chiara stessa, parlando al telefono, confermò questa ricostruzione. Sono state quindi mostrate in aula foto di Chiara poche settimane prima del parto: a un concerto, ad una festa. Le persone sentite nei primi giorni – ha spiegato Sacchetti – anche tra gli amici della 22enne, raccontavano che aveva uno stile di vita incompatibile con la gravidanza: consumava bevande alcoliche, sigarette, marijuana.
Il post-it ai giornalisti fino a 30
All’ingresso del tribunale di Parma ai giornalisti arrivati per seguire il processo è stato consegnato un post-it giallo con un numero scritto sopra in blu, fino ad un massimo di 30: lo stesso bigliettino è stato consegnato dal personale di vigilanza anche alle persone presenti per assistere al dibattimento, tra cui amici o parenti dell’imputata.
Il metodo per filtrare gli accessi, come in posta o al supermercato, è stato adottato nella seconda udienza, tenendo conto dell’ordine di arrivo delle persone, indipendentemente dagli accrediti presentati dai giornalisti per la prima udienza, a fine giugno. Sempre all’ingresso è stato ribadito più volte che non era consentito entrare con telecamere: in aula sono permesse solo foto, solo per i primi cinque minuti di ogni udienza.
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