Dardenne, Tori e Lokita più che migranti due individui

“Non volevamo raccontare di due migranti, ma piuttosto di due individui. Lo sappiamo che in Europa c’è molta gente che verso certe cose prova paura e odio, ma c’è anche chi si preoccupa dell’accoglienza e noi, in quanto registi, siamo dalla parte di chi ha fiducia e speranza”. Così i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne oggi a Roma parlano di TORI E LOKITA, il loro ultimo film-denuncia che racconta ciò che succede a molti giovani immigrati senza famiglia che approdano nella civile Europa. Un film senza troppa speranza, cupo e dai toni melodrammatici già in concorso a Cannes, dove ha ricevuto il premio del 75/mo anniversario, e ora esce distribuito in Italia con Lucky Red dal 24 novembre. E dai due registi belgi anche un riferimento al recente complicato sbarco a Catania di migranti dalle navi Ong: “Le parole ‘carico residuale’ del vostro ministro degli interni Matteo Piantedosi sono terribili. Il cinema in certi casi può cambiare le cose perché permette con il suo messaggio di rivolgersi a un pubblico che, seduto in una sala, si prende finalmente una pausa e ha una maggiore capacità di ascolto”. Ambientato nel Belgio dei nostri giorni, il film racconta la storia di un preadolescente, Tori (Pablo Schils) e di un’adolescente, Lokita (Joely Mbundu), giunti dall’Africa da soli. Un po’ fratelli e un po’ famiglia questi due ragazzi hanno due priorità: avere i documenti francesi e mandare soldi a casa. Ora per fare questo a entrambi serve denaro perciò non bisogna fare troppo gli schizzinosi. Così Tori e Lokita entrano nel giro della droga, subendo ogni sorta di violenza, forti solo della loro amicizia. E ancora i Dardenne: “Lokita, adolescente, e Tori, poco più che bambino, provengono entrambi dall’Africa, dal Camerun e dal Belin. Per loro l’amicizia non significa solo esserci l’uno per l’altra, aiutarsi a vicenda a pagare i trafficanti, a regolarizzare la loro situazione, a trovare lavoro nel mercato nero, a mandare soldi alle famiglie… significa anche non poter vivere l’uno senza l’altra, amarsi come fratello e sorella, formare una famiglia per non rimanere da soli con i propri incubi, consolarsi con un gesto, una parola o una canzone (nel film la canzone-tormentone è ALLA FIERA DELL’EST di Branduardi), per non sprofondare nella solitudine e negli attacchi di panico”. Come è nata l’idea del film? “Non da un fatto di cronaca preciso, ma dalle molte notizie che raccontavano come tanti migranti minorenni alla fine sparivano nel nulla. Ci auguriamo comunque che alla fine del nostro film il pubblico provi profonda empatia per i due giovani esiliati e la loro infallibile amicizia. Ma che al tempo stesso abbia voglia di ribellarsi rispetto alle ingiustizie che regnano nelle nostre società”.


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