«Dietro lo scontro tra Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita c’è la guerra tra governisti M5s e l’ala più barricadera». La notizia che anche il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra ha avuto da Davigo il dossier dell’avvocato siracusano Piero Amara su una fantomatica loggia Ungheria scuote il Movimento prima ancora che il Csm, come rivela una fonte vicina a M5s e a Davide Casaleggio. «Ma bastava leggere il libro Giustizialisti firmato dai due magistrati oggi ai ferri corti, Ardita e Davigo (con prefazione di Marco Travaglio, ndr) per capirlo – dice un altra fonte grillina – Il sottotitolo è così la politica lega le mani alla magistratura, no? Oggi che i grillini stanno al governo con chi minaccia di riformare la magistratura, è chiaro che l’ala più forcaiola vuole smarcarsi».
«Sono lontani i tempi – ricorda un legale che ha difeso uno dei magistrati accusati da Amara – in cui la corrente inventata da Ardita e Davigo riusciva a portare entrambi al Csm. Cosa leghi Ardita a Siracusa non lo so, su Siracusa è competente la corte appello di Catania, da dove viene Ardita. La cui reazione scomposta di ieri in tv mi ha lasciato senza parole. Di solito lui è uno che conta fino a mille prima di parlare…».
Già. Ma perché il presidente dell’Antimafia ieri ha sentito il dovere di avvertire la Procura di Roma di essere in possesso di alcune informazioni? «Sarebbe importante sapere quando Morra ha appreso quelle informazioni – dice al Giornale un altro legale che conosce bene le dinamiche interne al Csm – perché anche se fosse passato un giorno sarebbe nei guai». Ma soprattutto, perché Davigo in persona avrebbe dovuto rivelare quelle carte a Morra? Questioni d’ufficio? Vicinanza «politica»? Al telefono Morra prima si nega con un sms poi richiama e conferma al Giornale che sì, quelle informazioni erano in suo possesso non da ieri ma da qualche tempo. «Ho aspettato dei riscontri, rispetto a quello che mi avevano detto ero in attesa di conoscere il prosieguo delle indagini, che come sa possono protrarsi per anni. E questo mi fa avvertire ancor più la necessità di una riforma». Poi la questione scende sul personale: «Ho subito il venir meno di alcune mitologie, per me loro due erano dei fari. Oggi sono contento che su Ardita non può esserci alcun dubbio, alcuna ombra».
Lo stesso purtroppo non si può dire di Davigo, nei guai per la fuga di notizie innestata dalla decisione del pm Paolo Storari di condividere con l’ex consigliere del Csm i verbali dell’interrogatorio a Milano di Amara, rimasti a suo dire lettera morta. La vicenda, che da giorni scuote le alte sfere giudiziarie fino al Colle, pone diversi interrogativi. Era prassi delle Procure divulgare urbi et orbi a politici e alti magistrati il contenuto di alcuni verbali? E il Csm che cosa farà? E perché nessuno ha attivato il procedimento disciplinare pur essendovi una notizia di illecito a quanto pare conosciuta da persone qualificate? «Beh, adesso vedremo», dice al Giornale una fonte giudiziaria, che ricorda come in un passato recentissimo per un illecito come la mancata iscrizione del nome dell’indagato nel registro delle notizie di reato «la Procura Generale della Cassazione è stata inflessibile nell’azione disciplinare e il Csm particolarmente sicuro nel premere il grilletto della condanna, anche di recente, sui magistrati incorsi nella sfortunata dimenticanza». Condanne peraltro affidate a un autorevole relatore della sentenza: Piercamillo Davigo.
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