Fabrica nuova? Non più sul Titano. La ZES di Marche ed Umbria e l’Accordo di Associazione rischiano di svuotare San Marino … di Marco Severini

Il 4 agosto 2025 dovrebbe essere una data scolpita nella memoria della politica sammarinese. In quel giorno, le Marche e l’Umbria sono entrate ufficialmente nella Zona Economica Speciale unica italiana (ZES). È un passaggio storico che potrebbe rilanciare un’intera regione, ma che allo stesso tempo rischia di rappresentare una minaccia silenziosa, ma devastante, per San Marino.

Le ZES non sono teoria. Sono un meccanismo pratico e potentissimo di attrazione di investimenti, già testato con successo al Sud Italia. Lì, in appena 18 mesi, si sono approvati oltre 700 progetti, generando 27 miliardi di euro di investimenti e 35.000 nuovi posti di lavoro. Un cambio di passo impressionante, che ora si estende anche al Centro, e in particolare alla nostra porta accanto: le Marche e l’Umbria. Un territorio con cui San Marino condivide geografia, economia e cultura. Ma anche concorrenza.

Con la ZES unica, le imprese che investono possono ottenere:

– un credito d’imposta fino al 45%,

– agevolazioni doganali,

– sospensione dell’IVA,

– procedure accelerate,

– sportello unico digitale per la semplificazione,

– l’accesso diretto ai fondi del PNRR, che San Marino non potrà mai avere (ma nemmeno altri fondi UE) con l’Accordo di Associazione UE.

Risorse vere, miliardarie, messe a disposizione dell’Italia da Bruxelles. A queste condizioni, chiunque voglia aprire una fabbrica, un polo logistico, un centro di ricerca o di trasformazione industriale, troverà molto più conveniente andare a Gradara o Pesaro, ad esempio, che non restare sul Titano.

È un rischio reale, concreto, attuale. Non serve essere economisti per capirlo.

La verità è che San Marino oggi è stretta tra due incudini. Da un lato, c’è l’idea tossica secondo cui l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea sarebbe la chiave per lo sviluppo, per l’integrazione, per il progresso che non palesemnente così. Dall’altro, c’è una realtà che corre più veloce: quella dei territori che si attrezzano, si modernizzano e attraggono capitali, anche stranieri, grazie a strumenti già operativi e sostenuti politicamente da Roma.

La ZES unica, voluta dal Governo Meloni e già funzionante nel Mezzogiorno, è stata estesa alle Marche ed Umbria con una visione chiara: trasformare le aree in crisi in motori economici. E, per una volta, bisogna ammetterlo, ci stanno riuscendo.

Cosa ha prodotto in pochissimo tempo la ZES nel Sud Italia

Per gli imprenditori del Nord — emiliani, veneti, lombardi — la ZES rappresenta una concreta opportunità di espansione sotto casa, con vantaggi fiscali e normativi mai visti prima. È sufficiente investire almeno 200.000 euro in beni strumentali per accedere ai benefici. Non parliamo di ipotesi, ma di normative già approvate, funzionanti, con sportelli aperti e progetti approvati. Molti investitori si stanno già muovendo, silenziosamente. E chi sta fermo oggi, domani rischia di non avere più posto.

E San Marino? San Marino guarda altrove. Si accanisce sul sogno europeo, ignora che anche firmando un accordo di associazione non avremo comunque accesso ai fondi del PNRR, né agli strumenti più corposi di sostegno strutturale, né a nessun altro fondo.

Anzi, potremmo perdere quel poco di attrattività che ci resta, a cominciare dal differenziale fiscale e dalle leve della sovranità statuale. Perché l’allineamento all’acquis communautaire comporta anche l’adeguamento a regole più rigide e meno competitive. Ci togliamo gli strumenti che abbiamo, sperando in vantaggi che non arriveranno.

Una strategia suicida.

Eppure ci sarebbe un’altra strada, concreta, legittima, già prevista dal diritto europeo: quella della cooperazione transfrontaliera tra Stati membri e Stati terzi. San Marino, in quanto Stato terzo, potrebbe diventare il partner naturale delle Marche in progetti comuni finanziati dalla UE— sanità, logistica, mobilità, digitalizzazione, sostenibilità — che permettano di accedere a fondi europei senza dover svendere la propria sovranità, come faremo con l’Accordo di Associazione.

Ma serve visione. Serve coraggio. Serve un governo che guardi all’Italia, ad Ancona e non a Bruxelles, che costruisca intese locali invece di implorare porte lontane.

Il mondo sta cambiando, e lo fa in modo silenzioso ma radicale. Oggi la geografia economica non la decidono più soltanto le grandi istituzioni internazionali. La ricchezza non si genera nei palazzi di Bruxelles, ma nelle connessioni che i territori riescono a creare tra loro. Sono le regioni, le città dinamiche, le realtà locali a disegnare la nuova mappa del potere economico. Non esiste più un solo centro da cui dipendono le decisioni. Esistono nodi, relazioni, alleanze intelligenti. È il tempo delle geometrie variabili.

L’Italia, almeno su questo fronte, si sta attrezzando. Lo fa con le Zone Economiche Speciali, con il PNRR, con l’infrastrutturazione logistica, con la digitalizzazione dei porti, con l’apertura verso i capitali esteri. E tutto questo avverrà a pochi chilometri da noi, nelle Marche, regione ora al centro di un piano di rilancio strutturato e molto concreto.

Ma il punto centrale è che San Marino può essere parte di questo nuovo disegno, ma non inseguendo l’Europa da una posizione subalterna. Può farlo solo se capisce che il mondo sta bussando alla porta del Titano. Non è un’iperbole: ci sono fondi sauditi, e non solo, pronti a investire direttamente nella nostra Repubblica addirittura con interessi all’1.5%. Non per comprare il nostro debito o per speculare, ma per mettere radici. Per finanziare progetti seri, a lungo termine, nei settori strategici: sanità, biotecnologie, energia pulita, logistica adriatica, formazione d’eccellenza.

Un’occasione da non perdere!

Parliamo di capitale paziente, quel tipo di denaro che oggi conta più del denaro veloce. Capitale che accetta di aspettare, perché guarda alla crescita, al valore, alla trasformazione. I sauditi, ma non solo loro, non cercano paradisi fiscali. Cercano territori autonomi, stabili, con regole chiare ma flessibili, capaci di garantire protezione giuridica, neutralità e visione. Esattamente ciò che San Marino potrebbe essere, se solo smettesse di inginocchiarsi davanti alla Commissione Europea sperando in un miracolo.

Il miracolo, semmai, è già qui. E porta il nome di investitori strategici, pronti a lavorare con noi se smettiamo di parlarci addosso e iniziamo a costruire alleanze vere, solide, indipendenti. È questo il bivio che abbiamo davanti. Possiamo scegliere di restare prigionieri di un’illusione burocratica chiamata Accordo di Associazione, oppure aprirci al mondo da sovrani, non da mendicanti.

E noi, nel mezzo, rischiamo di restare al palo, isolati, regolati, inascoltati.

Quindi possiamo ancora scegliere: o diventare partecipi di un nuovo disegno economico che parte da Pesaro, Fano e Macerata , oppure restare prigionieri della nostra illusione europea, mentre le imprese ci lasciano, una dopo l’altra.

Il Titano non può permetterselo. Le Marche e l’Umbria partiranno a brevissimo. E noi, come spesso accade, stiamo ancora discutendo se valga la pena salire sul treno. Speriamo non sia già troppo tardi.

Marco Severini – direttore GiornaleSM