Una maxi-truffa che ammonta a due milioni di euro, se si calcolano in totale i danni economici di cui sono caduti vittime vari fornitori in Italia, in particolare del comparto alimentare. Un giro di denaro, account e email false, società di comodo rivelatesi scatole vuote, per un’indagine che ha portato a 7 ordinanze di custodia cautelare in carcere e 6 obblighi di dimora, tutti eseguite, tranne due, tra Fermo, Ascoli Piceno, Chieti e Pescara.
E’ questo in sintesi quanto emerso dall’operazione denominata ‘Ocean’, che ha visto impegnati gli uomini della polizia postale di Perugia insieme agli agenti di Ancona, Pescara e Roma, coordinati dalla Procura della Repubblica del capoluogo umbro. Tra le persone colpite da obbligo di dimora, quattro insospettabili del Fermano, tre uomini e una donna rispettivamente di Fermo, Porto Sant’Elpidio e Altidona (la donna è ancora ricercata). Sono finiti invece in manette due professionisti di Ascoli Piceno. Tra le persone nei guai anche due commercialisti.
Tutto è cominciato a novembre 2015, quando un’attività commerciale impiegata nella grande distribuzione di alimentari ha sporto denuncia per una transazione fraudolenta. Alla base delle truffe c’era l’invio a vari fornitori di email false e apparentemente riconducibili a nomi di manager di aziende della media e grande distribuzione, italiana ed estera, reperiti attraverso il ‘social engineering’, una tecnica di persuasione usata per ottenere o compromettere informazioni riguardanti un’organizzazione o il suo sistema informatico. Nella email, questi presunti manager effettuavano degli ordini di generi alimentari di vario tipo per conto di aziende con le quali abitualmente avevano rapporti commerciali. Tutti ordini di importi rilevanti, che riportavano anche i contatti e i recapiti di telefoni cellulari usate dal gruppo criminale, che sono poi risultati essere intestati a persone inesistenti.
La merce veniva poi regolarmente consegnata: ad entrarne in possesso erano però i componenti del sodalizio. Gli ordini venivano dunque generalmente stoccati in un magazzino affittato fittiziamente, prima di essere subito trasferiti senza pagarne il prezzo. Attraverso le indagini si è poi scoperto che le email, nonostante fossero inviate da account anonimi, con l’utilizzo del browser Tor, erano tracciate grazie all’individuazione di un identificativo I.P. italiano.
Dall’analisi dei tabulati telefonici è emerso la presenza di quattro componenti della banda coinvolti, a vario titolo, nell’illecito giro d’affari. Sono così scattate allora le intercettazioni da parte degli investigatori, che hanno individuato le 13 persone coinvolte e ricostruito il modus operandi dell’organizzazione. La polizia ha scoperto che il sodalizio criminale aveva creato tre società fittizie la cui solvibilità era falsamente certificata. Gli artefici delle frodi avevano la propria base operativa all’interno di un’attività di pesca sportiva presso un lago artificiale della Valdaso, in territorio di Altidona. La sede è stata perquisita durante l’attività investigativa. Il Resto del Carlino