Fuga anticipata delle rondini tradite dal clima impazzito.

San Marino – A settembre, in un tempo che ormai ci pare lontano, era normale per ,noi ex cacciatori ,vedere i preparativi che le rondini facevano in previsione del lungo viaggio che le avrebbe riportate in Africa a svernare. Ricordo il sorvolarmi costantemente girovaganti una dietro l’altra e  c’era il richiamo e l’addestramento al loro primo viaggio dei nuovi nati; c’era il riunirsi in stormi viepiù consistenti.

I raduni premigratori, li chiamavano gli esperti. Ma, a parte questi, chi ancora s’accorge, e forse addirittura ha nostalgia, dell’immagine bella di quell’affollarsi di rondini una volta consueta e ormai così rara? Quante sono, al giorno d’oggi, le persone che, per sensibilità e soprattutto per l’esperienza di un padre che insegna al figlio acquisita in tempi lontani, sa ancora percepire e leggere i tanti piccoli segni — segni spesso d’allarme — che l’ambiente costantemente ci invia?

Nel nostro Paese sono, per esempio, scomparsi gli usignoli. Era una gioia sentirne il canto notturno bello e toccante. E chi ancora ha memoria dei concerti, pure notturni, dei grilli, o di quelli diurni delle cicale?Chi non se mai abbracciato con il suo amato/a e fermarsi a guardare le lucciole in un prato di grano.

Eppure i segnali sono, o almeno sarebbero, chiari e forti, e proprio le rondini, al proposito, avrebbero molto da raccontarci. Perché loro sono animali straordi­nariamente specializzati. Anche se il declino di questi un po’ magici uccelli è iniziato ormai da molto tempo credo che tutti sappiano che le rondini si nutrono volando, tenendo il loro grande becco — una trappola naturale — ben spalancato. Ebbene, se gli insetticidi hanno fatto fuori la maggior parte degli insetti volanti, op­pure, quelli rimasti, li hanno resi velenosi, per le rondini c’è ben poco da fare. E lo stesso può dirsi per le loro notturne controfigure, i pipistrelli,le lucciole le api.

Le rondini, ho scritto prima, sono animali specialisti: hanno cioè messo a punto, nei tempi lunghi della loro evoluzione, un raffinato, talora pressoché perfetto, modo di stare al mondo, adattandosi a un tipo di ambiente prevedibile e stabile. E ho scritto «i tempi lunghi della loro evoluzione», perché si tratta di evoluzione biologica, un processo che appunto è sempre lentissimo.

Ma ecco allora dove sta il problema: ebbene, il problema sta in noi, in noi Homo sapiens, una specie che, piuttosto straordinariamente, è in grado di cambiare il suo comportamento non per evoluzione biologica, ma culturale. Il che significa, tra l’altro, il saper determinare — e sempre più col passare del tempo — anche repentini cambiamenti ambientali. Così i cosiddetti ambienti stabili e prevedibili, essenziali per l’evolversi degli specialisti biologici, la smettono di essere tali. E gli ani­mali specialisti, come le rondini e i pipistrelli, se ne vanno decisamente in crisi. È la biologia, in parole povere, che non tiene il passo, sempre più rapido della nostra, spesso sconsiderata, evolu­zione culturale. Ecco allora che questo nostro tempo, che poi è tempo di crisi ecologica, segna il trionfo di quelle specie che sono l’opposto degli specialisti, e cioè gli animali detti generalisti. Sono specie adattate a vivere in ambienti instabili e pertanto scarsamente prevedibili oppure, addirittura, a vivere la vita avventurosa degli animali colonizzatori. Specie, insomma, che in un modo o nell’altro se la cavano sempre. Furbe e opportuniste, con po che regole scritte nel loro Dna e invece con raffinate capacità di apprendimento. Specie che, un po’ eufemisticamente, vengono denominate «problematiche», quali i topi e i ratti, i colombi,storni, gli scarafaggi, anche i cinghiali, in un certo senso. Ebbene, queste specie, generalmente, occupano gli spazi lasciati liberi dagli specialisti sconfitti banalizzando così i differenti ambienti, un tempo ricchi dei cosiddetti «endemismi». Forme cioè che si trovavano, rendendoli l’uno dall’altro unici, ciascuna in un ambiente particolare. Adatte ad esso e ad esso soltanto.

C’è, infine, un altro segnale che l’ambiente ci manda: la presenza di tantissime specie esotiche, installatesi perché sfuggite alla cattività o, peggio ancora, perché rilasciate per scopi venatori o di pesca.

Se San Marino vorrà rimanere patrimonio dell’Unesco,dovrà rivedere anche le sue politiche sulla tutela dell’acque ,dell’ambiente e territorio ,e soprattutto una nuova progettazione della caccia.

Un saluto da Michele Guidi

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