Il fattore ‘C’, come Conte e Cairo, comincia a prendere sempre più forma nello scenario politico italiano. Entrambi, venuti dal nulla e spinti da un ego ipertrofico, si stanno convincendo che possono giocare partite per loro un tempo inimmaginabili. Conte, ora a Palazzo Chigi, fino a sei mesi fa era appollaiato nel suo studio di piazza Cairoli a Roma o nelle aule dell’Università di Firenze. Cairo, oggi spavaldo padrone di RCS e de La7, era un piccolo editore di successo.
Ambedue professionalmente figli d’arte: Peppino Conte di un maestro del diritto come Guido Alpa; Urbano Cairo di un tycoon che ha fatto la storia d’Italia come Silvio Berlusconi. Conte ha capito che deve ritagliarsi uno spazio autonomo tra il Movimento 5Stelle e la Lega; Cairo si è convinto che come imprenditore dei media difficilmente potrà andare oltre. Conte, stufo di fare il vaso di coccio tra Salvini e Di Maio, si è quasi del tutto deciso a sfidare il mondo, forte anche di una rete di rapporti internazionali che si sta creando, non disdegnando alcun invito che gli arrivi da un qualsiasi Paese straniero o da qualche fondazione oltretevere, come Villa Nazareth dove si è fatto le ossa, fino ovviamente al Palazzo Apostolico da Bergoglio. Cairo sa che non può più continuare ad utilizzare i suoi giornali come grancassa quotidiana dei propri successi imprenditoriali.
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