INTERVENTO IN CONSIGLIO SU RIFORMA DEL 1° PILASTRO

Colleghi consiglieri,

credo che oggi dobbiamo decidere se porre in essere soltanto l’ennesimo aggiustamento del nostro sistema oppure se fare sì un aggiustamento ai parametri del modello attuale, con anche interventi di equità per rendere più solidi i fondi, ma ponendo contemporaneamente in essere una riforma vera, strutturale, che delinei il modello per il futuro

Se le proiezioni indicano che nel 2058 avremo 1,7 miliardi di euro di uscite a fronte di 900 milioni di entrate, ammesso tra l’altro che tutti i parametri di queste simulazioni si rivelino corretti, è evidente che si pone un problema ben prima del 2058, un problema che non si può pensare di risolvere soltanto aumentando l’età pensionabile di 1 anno, aumentando le aliquote di 2 punti, abbassando le prestazioni di qualche punto percentuale o accorpando le categorie dei lavoratori autonomi.

 

Sarò franco: penso che non si possa più continuare oggi a perpetuare i privilegi e le iniquità di un sistema in cui tutto dipende soltanto dal reddito prodotto durante la vita lavorativa, senza attenzione ad altre dinamiche sociali e alle situazioni di bisogno, che se oggi sono rare, domani potrebbero essere ben maggiori. Così come è inaccettabile il fatto di volere difendere oggi questi privilegi e iniquità, utilizzando la grande parolina magica “diritti acquisiti”, quando si prospetta ai giovani, al di là delle belle parole, un futuro con pensioni misere e con contribuzioni sempre crescenti.

 

Se non sono queste le volontà, allora come mai, ad esempio, nessuno ha il coraggio di andare a toccare le attuali pensioni Stato che non hanno alcun tetto pensionistico ed in molti casi hanno importi scandalosamente alti rispetto a quelli che potremo garantire in futuro? Perché la solidarietà di ritorno si riduce ad una aliquota massima dell’8,5%, tra l’altro soltanto sullo scaglione di reddito superiore a 5 mila euro, che non mi sembra una cosa di grande impatto in termini di equità? Come mai, in base alla riforma del 2005, non modificata da questa proposta, tutti coloro che avevano almeno 1 anno di contribuzione al 31/12/2005, cioè una vastissima pletora di lavoratori, hanno la possibilità di utilizzare per tutta la contribuzione maturata fino a quel momento il meccanismo di calcolo pre-2005, che garantiva tassi di sostituzione molto molto più generosi di quelli attuali e di quelli che verranno? Perché ancora consentiamo di calcolare la pensione prendendo a base di calcolo solo gli ultimi anni di stipendio invece di usare quelli di tutta la vita, permettendo a chi può fare dichiarazioni scandalosamente basse nei primi anni di lavoro e più alte negli ultimi? Potrei andare avanti ma mi fermo qui anche per ragioni di tempo.

 

A mio parere nei modelli a ripartizione i diritti acquisiti non esistono, nessuno si è guadagnato nemmeno 1/5 della pensione che prenderà, non siamo in un sistema a capitalizzazione dove ognuno ha il suo conto personale.

Il patto fra generazioni oggi è un patto in cui solo le giovani generazioni pagano, e pagano in maniera sempre crescente per la non volontà di riformare profondamente un sistema che non regge più e di togliere alcuni privilegi!

 

Aggiungo poi che l’attuale sistema non considera le necessità, i bisogni, le esigenze di chi per tante ragioni ha versato poco o ha avuto redditi bassi o carriere discontinue nella vita lavorativa, e si ritrova in vecchiaia con redditi insufficienti. La pensione non è infatti solo risparmio differito, ma anche una potente forma di welfare, mentre noi consideriamo solo la prima funzione!

 

considerare i contributi pensionistici non solo come forma di risparmio differito ma anche come forma di welfarepesa eccessivamente sulle fasce giovanililarghe sacche di iniquità. e che si basi sulla Le considerazioni che ho fatto finora non me le sto inventando perchè le trovo scritte nel programma di Governo del Patto, laddove si afferma che occorre “progettare una riforma più generale del primo pilastro pensionistico, che sappia rendere più solido il meccanismo di ripartizione con l’obiettivo di

 

Per essere propositivo, propongo di muoverci su 2 binari: da un lato porre in essere aggiustamenti all’attuale sistema, e dall’altro elaborare, oggi, una riforma profonda dello stesso, che entri in vigore fra qualche anno, ma che delinei un modello sostenibile nel tempo.

 

Gli aggiustamenti devono ovviamente essere congruenti col programma di Governo, che sul tema è molto chiaro: bisogna quindi ridurre le differenze fra pensioni minime e massime, ragionevolmente applicando il tetto massimo a tutti, non solo a quelli a regime ISS; bisogna collegare l’importo delle pensioni di reversibilità al reddito percepito dal coniuge superstite, ragionevolmente non solo al reddito da pensione ma a tutti i redditi; bisogna aumentare le pensioni sociali, contestualmente aumentando gli anni di residenza in territorio necessari per accedere alla stessa; bisogna prevedere una effettiva solidarietà di ritorno, che purtroppo non sono certo quelle aliquote previste nell’attuale proposta. Bisogna anche fare atti di giustizia, come consentire a chi ha 40 anni di contribuzione ma non ha i 60 anni di età, cittadini che hanno iniziato a lavorare molto giovani, spesso facendo lavori usuranti, di poter andare in pensione, anche con l’applicazione di disincentivi significativi; bisogna trovare strumenti effettivi per garantire l’autonomia dei fondi pensione in cronico deficit, inevitabilmente attraverso diversi meccanismi di calcolo della pensione e non andando a pesare su chi ha fondi in attivo. Bisogna, in sintesi, avere il coraggio di intervenire secondo equità, tenendo conto che le dinamiche demografiche e occupazionali non consentono più di tollerare i privilegi oggi esistenti.

 

La riforma strutturale invece deve permetterci di creare un sistema che dia risposta alle 3 funzioni che ha un sistema pensionistico: essere un sistema di welfare, differire il risparmio, permettere un investimento finanziario. Alla prima funzione possiamo dare risposta con una pensione universale uguale per tutti e concessa a chi abbia un certo numero di anni di residenza; alla seconda possiamo dare risposta o con un sistema a ripartizione con calcolo retributivo, valutando i redditi di tutta la vita e applicando dei rigidi tetti massimi, oppure con un sistema a ripartizione a calcolo contributivo (che non è qualcosa di demoniaco in sé, come sembra evincersi dalla relazione, è solo un modo diverso di calcolare la prestazione basandola sui contributi anziché sul reddito: se le dinamiche demografiche sono buone, anche il contributivo garantisce pensioni alte); alla terza funzione, quella di investimento finanziario, possiamo dare risposta con un sistema a capitalizzazione. La pensione totale è la somma della pensione di ognuno dei 3 comparti, in cui il peso di ognuno dipende dalle scelte politiche che si faranno, ed i parametri del sistema devono auto aggiustarsi al variare delle dinamiche demografiche. Non posso in questa sede approfondire oltre, ma non mi sto inventando niente, questo sistema a 3 comparti è usato in Svezia, ed è un modello che funziona benissimo e secondo me va preso a riferimento, sarebbe bene studiarselo!!

 

Possiamo lavorare su entrambi i fronti, aggiustamenti e riforma strutturale. Non si può intervenire ogni 5 anni sul sistema pensionistico per star dietro a un modello che non tiene più di fronte alle dinamiche demografiche e, oggi, soprattutto occupazionali! Questo sistema non è più basato sulla solidarietà, è una punizione continua e sempre maggiore per le generazioni che verranno. Credo che in Commissione dovremo fare un attento e costruttivo lavoro, cercando di avere una visione di futuro possibile, intervenendo con decisione su ciò che oggi non è più tollerabile.