L’offensiva non è solo sul campo: Israele avvia una contro-narrazione internazionale contro quella che definisce una massiccia e distorsiva propaganda filopalestinese. Al centro del dibattito c’è la crescente percezione, in larga parte dell’opinione pubblica occidentale, di un conflitto squilibrato tra “oppressori” e “vittime”. Una rappresentazione che, secondo Tel Aviv, ha poco a che vedere con la realtà dei fatti ma è il risultato di una strategia comunicativa ben orchestrata da Hamas.
Il premier israeliano Benyamin Netanyahu, in un video diffuso domenica, ha usato toni durissimi, paragonando la condizione degli ostaggi israeliani a quella degli ebrei nei lager nazisti. “I nostri ostaggi – ha affermato – sono denutriti, mentre chi li tiene prigionieri, i miliziani di Hamas, appaiono ben pasciuti. Li stanno affamando, come i nazisti facevano con gli ebrei”. Secondo il primo ministro, il movimento islamista non vuole un accordo: il suo vero obiettivo sarebbe quello di “spezzarci psicologicamente con i video dell’orrore e la disinformazione che diffonde nel mondo”. Per Netanyahu, la risposta deve essere “ferma e determinata”, nella liberazione degli ostaggi e nell’annientamento dell’organizzazione terroristica.
A sostenere la necessità di una risposta anche sul piano informativo è anche il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar, che in un’intervista al quotidiano Libero ha criticato apertamente l’ondata di riconoscimenti internazionali a favore di uno Stato palestinese. “È un riconoscimento irrazionale – ha dichiarato – perché oggi l’unico vero ‘Stato palestinese’ sarebbe quello di Hamas: uno Stato radicale e pericoloso, a pochi chilometri dai nostri centri abitati”. Un’entità del genere, secondo Saar, destabilizzerebbe l’intera regione, rafforzando l’asse Teheran-Gaza già operativo tramite Hezbollah al confine nord.
Il titolare della diplomazia israeliana ha anche replicato ad alcune recenti prese di posizione, come quella del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, che aveva espresso preoccupazione per l’operato dell’esercito israeliano. Saar ha ribadito che Tel Aviv “agisce nel pieno rispetto del diritto internazionale” e che molte delle accuse rivolte a Israele – tra cui quelle di genocidio – sono da considerarsi “false e frutto di propaganda antisemita”.
Nel mirino del governo israeliano anche la relatrice speciale dell’ONU sui territori palestinesi, Francesca Albanese, definita da Saar “ossessionata da Israele” e “apertamente antisemita”, in riferimento ai recenti attriti tra la diplomatica e l’amministrazione statunitense.
Israele punta dunque a smontare quello che definisce un racconto falsato, frutto di una comunicazione mirata che ha fatto breccia in ampie fasce delle società occidentali. Una narrazione – è il pensiero del governo – che ha ribaltato la percezione del conflitto, rappresentando Hamas e altri gruppi armati come “resistenti” e riducendo la complessità geopolitica e storica a uno scontro tra “aggressore” e “aggredito”.
Il contrattacco mediatico di Tel Aviv vuole riportare l’attenzione sulla natura terroristica di Hamas, sull’uso strumentale della popolazione civile come scudo umano e sulla necessità – rivendicata dal governo – di garantire la sicurezza del popolo israeliano in un contesto regionale instabile.