C’è qualcosa di grottesco, quasi da commedia nera, nell’idea che in una Repubblica grande quanto un fazzoletto, dove un pettegolezzo vola da Dogana a Serravalle prima del caffè, un ultraottantenne agli arresti domiciliari possa farsi un giretto come se fosse al mercato del giovedì. Il presunto “killer dei cani”, accusato di aver scosso San Marino con anni di avvelenamenti e minacce, sarebbe stato avvistato in libertà, a zonzo per il Titano, secondo segnalazioni che hanno fatto drizzare le orecchie all’APAS. E qui scappa un ghigno sarcastico: in un Paese dove tutti sanno chi ha parcheggiato male, com’è possibile che un sospettato sotto sorveglianza sfugga come un’ombra in pieno giorno? O chi vigila sonnecchia dietro una scrivania, o l’APAS ha sparato un allarme da film di serie B senza prima controllare il copione. In ogni caso, San Marino merita di meglio.
Quabnto emerso dalle cronache dei giorni scorsi (leggi qui e qui) sembra uno schiaffo alla logica. L’APAS, con lo zelo di chi protegge gli indifesi, riporta cittadini allarmati che giurano di aver visto il sospettato, teoricamente confinato in casa, passeggiare in vari angoli della Repubblica. Alcuni lo descrivono fuori dal cancello, come se gli arresti domiciliari fossero un invito a prendere aria. Se queste segnalazioni fossero vere, sarebbe un pugno nello stomaco: un uomo accusato di reati che hanno terrorizzato il Titano per 14 anni, libero di muoversi senza un braccialetto elettronico o un controllo che meriti questo nome. E se fosse un falso allarme? Beh, allora l’APAS avrebbe acceso un falò di paura senza nemmeno verificare se il presunto evasore stava solo aprendo la cassetta della posta. In entrambi i casi, il risultato è lo stesso: una comunità che si guarda alle spalle, e una fiducia nelle istituzioni che scricchiola come un ponte malmesso.
San Marino è piccola, un posto dove il vicino sa che salsa usi per la pasta. Eppure, questo sospettato, che dovrebbe essere monitorato con la precisione di un orologio svizzero, sembra svanire sotto il naso di chi ha il compito di vigilare. Se gli avvistamenti sono reali, dove sono i controlli? Dove sono le cavigliere elettroniche, le pattuglie, o anche solo un’occhiata attenta? È mai possibile che in un Paese che si vanta di ordine e civiltà, gli arresti domiciliari siano un biglietto per un tour panoramico? E se l’APAS ha esagerato, perché gettare benzina sul panico senza prove solide? Qui non si tratta di giocare a guardie e ladri: si tratta di proteggere una comunità che, dopo anni di veleni e terrore, ha il diritto di dormire sonni tranquilli. La Gendarmeria, il Tribunale, chiunque abbia un distintivo o una toga, deve rispondere: come può un sospettato trasformarsi in un fantasma in una Repubblica dove tutti si conoscono?
Non serve un genio per capire che qualcosa non quadra. Se il sospettato è davvero in giro, è un fallimento di chi dovrebbe garantire che gli arresti domiciliari non siano una vacanza. Se non lo è, qualcuno ha premuto il pulsante dell’allarme come se fosse un gioco, e questo è quasi altrettanto grave. San Marino non è un set da Far West, ma ci si avvicina pericolosamente quando i cittadini tremano mentre chi dovrebbe vigilare sembra distratto da una partita a scopa. E qui scappa un sorriso amaro: forse il Titano ha bisogno di meno proclami e più fatti, meno allarmi da sagra e più occhi aperti. Perché in una comunità dove un colpo di tosse diventa notizia, lasciare che un sospettato sfidi la giustizia – o che si gridi al lupo senza motivo – è un lusso che nessuno può permettersi.
San Marino deve alzare la voce. Che chi vigila si svegli, che chi lancia allarmi verifichi. Che la sicurezza non sia uno slogan, ma un impegno: i cittadini, quelli che portano a spasso il cane o giocano nei parchi, meritano di sentirsi protetti, non pedine in un gioco di distrazione. La civiltà del Titano si misura in questi momenti, quando la fiducia vacilla e la paura bussa. A chi ha trasformato il Monte in un teatro di sospetti, veri o presunti, rispondete con una giustizia che morda, non che abbai e basta. Altrimenti, fra vent’anni, non ci sarà più comunità da difendere. Solo cancelli chiusi e silenzi.
Enrico Lazzari