Condivido assolutamente la necessità di far partire un assicurazione pensionistica obbligatoria basata su un sistema a capitalizzazione (tale per cui, in estrema sintesi, ogni contribuente si fa il suo “borsellino” durante la vita lavorativa, e se lo vede restituire, scaglionato negli anni, al momento della pensione). È semplicemente essenziale, in un contesto di invecchiamento della popolazione in cui i sistemi a ripartizione faticano sempre più a reggere la sfida del tempo che passa mantenendo un corretto equilibrio finanziario (anche perché, spesso, è difficile riformarli adeguatamente per renderli sostenibili a causa di pressioni politiche e problemi di consenso).
Teniamo anche conto che, in media, nel corso di un lungo arco di tempo, un sistema a capitalizzazione “rende” il tasso di interesse di mercato, mentre un sistema a ripartizione “rende” il tasso di crescita dell’economia: quest’ultimo, per varie ragioni economiche, non può mai essere superiore al tasso di interesse medio di mercato. Ecco perché un sistema a capitalizzazione è anche più “remunerativo” di un sistema a ripartizione.
Questo vale (ripeto, nel lungo periodo) anche solo investendo in titoli obbligazionari a basso o bassissimo rischio (es: titoli di Stato pluriennali), senza necessità di andare alla ricerca di strumenti finanziari ad alto rendimento ma anche ad alto rischio. Fra l’altro, nel nostro caso, sarebbe molto utile prevedere che una (buona) parte dei fondi possano essere investiti all’interno della Repubblica, per finanziare lo sviluppo, le opere pubbliche, ecc…ciò potrebbe generare un ottima sinergia.
Penso, comunque, che in momenti di crisi economica, richiedere un aumento di contribuzione pensionistica per finanziare l’avvio del nuovo sistema sia piuttosto inopportuno: ecco perché penso che non sia il momento più giusto per affrontare questo tema. Credo, inoltre, che prima di parlare di secondo pilastro sia bene procedere ad una riforma strutturale del primo, per renderlo sostenibile nel tempo, più capace di dare risposta e protezione nella vecchiaia alle fasce più deboli della popolazione, e per ridurne il peso sul bilancio pubblico.
Sappiamo che, attualmente, il nostro primo pilastro, a ripartizione con calcolo retributivo, non è né sostenibile nel tempo (le proiezioni, nonostante “l’aggiustamento” del 2005, danno disequilibrio finanziario fra 8-15 anni, fascia che può ridursi considerando la contrazione dei versamenti dovuti alla disoccupazione crescente) né capace di proteggere le fasce più deboli della popolazione (perché la prestazione è solo legata al reddito generato durante gli ultimi 10 anni di vita lavorativa, a prescindere da ogni altra considerazione). Inoltre, pesa molto sul bilancio dello Stato, a cui spetta per legge il compito di ripianare eventuali deficit che si generassero nei fondi.
Serve una riforma strutturale, a mio parere sul modello pensionistico svedese, che preveda un minimo uguale per tutti, posto un minimo di anni di contributi (fungendo da forma di welfare e di reddito per gli anziani che possono non aver raggiunto un livello di rendita pensionistica sufficiente), e che si basi sul meccanismo di calcolo contributivo (con prestazione legata ai versamenti effettuati), con aggiustamenti automatici dei coefficienti sulla base dei dati demografici e con parametri realistici. Questo riduce la spesa pensionistica a parità di contributi (ecco perché tale riforma diventa ancora più fondamentale nel momento in cui si deve contrarre la spesa pubblica per limitare il deficit di bilancio), e rende il tutto più sostenibile nel tempo perché le rendite si “auto-aggiustano” alle dinamiche demografiche. Accanto a questo, completeremo il sistema (in momenti più tranquilli) col già menzionato secondo pilastro a capitalizzazione.
Un ultima postilla: credo sia doveroso concedere a chi ha 40 anni di contribuzione di poter andare in pensione. Ci sono lavoratori che hanno iniziato a lavorare a 14 anni, spesso facendo gli operai in mansioni anche usuranti, e che andrebbero in pensione, oggi, a 60 anni, con 46 di contributi!! A me pare una violenza, che non si giustifica con nulla! Utilizziamo il meccanismo dei disincentivi, già previsti dal nostro sistema, per non pesare troppo sui fondi. Ma concediamo a questi lavoratori il diritto di andare in pensione, se lo vogliono!
Andrea Zafferani