È un Donald Trump entusiasta e decisamente soddisfatto quello che si è presentato davanti ai giornalisti per confermare l’uccisione di Abu Bakr al Baghdadi. Il presidente degli Stati Uniti ha confermato davanti alle telecamere il raid notturno delle forze speciali americane che ha portato alla morte del fondatore e leader dello Stato islamico. E per il capo della Casa Bianca si tratta di un risultato unico, sicuramente fondamentale non solo per la sua amministrazione (e la sua prossima elezione) ma anche per la sua strategia in Medio Oriente e nel mondo.
Le parole del presidente Usa sono chiare, ferme, posate. Trump non ha solo dato informazioni precise sul raid, ma ha anche dato importanti segnali per suo impegno nella lotta al terrorismo islamico e alla sua agenda politica internazionale. Per quanto riguarda il raid, il capo della Casa Bianca ha dichiarato che si è trattato di un blitz notturno compiuto dalle forze speciali statunitensi e diretto precisamente contro il compound di al Baghdadi. Un intervento chirurgico con otto elicotteri, come avevano già affermato le fonti della Difesa, che hanno bombardato il bunker per perforare le pareti e permettere l’individuazione del Califfo, nascosto in una delle gallerie sotto l’edificio nei pressi di Idlib. “Siamo rimasti nel compound oltre due ore” ha detto il capo di Stato americano, aggiungendo che “le nostre forze hanno concluso la missione in grande stile”. Poi, una volta individuata la galleria, le forze speciali sono intervenute in massa: ma non sono loro ad aver ucciso il fondatore dell’Isis. “Abu Bakr Al Baghdadi ha fatto esplodere il suo giubbotto e ha ucciso tre bambini che erano con lui” ha ammesso Trump. A quel punto la galleria è crollata sul corpo del Califfo e i resti del cadavere sono stati portati sugli elicotteri delle forze speciali per poi essere analizzati. La conclusione di Trump è chiara: “È morto da vigliacco, scappando e piangendo. Ora il mondo è più sicuro”.
Ma oltre alla cronaca dell’intervento delle forze speciali, è importante sottolineare anche alcune frasi più “politiche” del presidente americano. Innanzitutto, un primo dato da sottolineare è il ringraziamento alla Russia. Non un dato così scontato in un periodo in cui lo stesso Trump è assediato a livello mediatico e politico dall’inchiesta sul Russiagate ma da cui sta uscendo anche grazie alla contro-inchiesta della sua amministrazione. Trump ringrazia i russi e non si vergogna a farlo. Ha detto che Mosca ha aiutato gli Stati Uniti garantendo lo spazio aereo e aprendo alcune basi, perché “loro odiano l’Isis come noi”.
Una dichiarazione importante così come è importante un altro ringraziamento: quello rivolto ai siriani e ai curdi. Due popoli con cui l’America ha rapporti controversi. Il governo siriano è sempre stato il nemico dell’amministrazione che ha preceduto Trump, visto che Barack Obama e Hillary Clinton hanno investito nella guerra in Siria anche per far fuori Bashar al Assad. I curdi, al contrario, sono stati alleati degli Stati Uniti e veri e propri boots on the ground durante la liberazione della Siria dallo Stato islamico, ma con il semaforo verde dato a Recep Tayyip Erdogan, i rapporti si sono fatti estremamente tesi. Eppure, nonostante questi rapporti difficilissimi, i siriani vengono ringraziati da Trump e i curdi hanno collaborato con Washington per l’uccisione di Abu Bakr al Baghdadi.
Se a questi ringraziamenti si aggiunge quello rivolto alla Turchia, che ha concesso lo spazio aereo e collaborato con l’intelligence statunitense, il quadro appare complesso ed estremamente interessante. Quello di Trump sembra un discorso che vuole far capire a determinati attori di essere perfettamente in linea con altre amministrazioni. Mentre con altri Paesi la sfida è aperta, soprattutto con quelli europei. Il presidente degli Stati Uniti ha confermato la volontà di ritirarsi dal Medio Oriente e ha anche specificamente fatto capire di aver interesse nel formulare accordi con tutte le potenze coinvolte nel conflitto in Siria e Iraq ma per giungere a una situazione di tregua che non leda gli interessi americani che, mai come in questa amministrazione, appaiono distanti dal Medio Oriente. Ma dall’altro lato, l’attacco all’Europa è feroce, così come è molto interessante il fatto che il capo della Casa Bianca non abbia voluto espressamente menzionare Israele come partner della guerra al Califfato. È un Trump d’assalto. quello che sbaraglia le carte e che per la prima volta può diversi veramente vittorioso. Ma adesso passa all’attacco: risolto il problema Isis, gli occhi sono puntati sui suoi avversari. E questa morti non gli ha fatto dimenticare quali saranno le sue prossime partite, la prima delle quali è contro quell’Europa che non ha fatto nulla, a suo dire, per sconfiggere lo Stato islamico. È l‘America di Trump: quella che vuole (ma non può) fare a meno dell’Europa e dei suoi partner e che vuole cambiare, a lungo termine, il suo orientamento nei confronti del mondo. Il Giornale.it