Le aziende rifiutano di pagare la tassa sugli “extraprofitti”. E fanno causa

La tassa sugli extra profitti diventa un caso ed esplode nel bel mezzo della campagna elettorale. Dopo mesi di movimenti sotto traccia molte società sono venute allo scoperto (complice la scadenza di domani 31 agosto per il pagamento dell’acconto del 40%, mentre il saldo è previsto 30 novembre) e hanno rivelato non solo di non aver pagato quanto disposto dal Decreto Aiuti bis, ma di aver anche fatto causa contro il provvedimento. Cosa prevede la misura? La tassa sugli extra profitti è stata introdotta per compensare i guadagni delle imprese energetiche che, grazie all’aumento del prezzo del gas, hanno realizzato profitti maggiori del previsto.

In una prima versione del Decreto Aiuti la tassa ammontava al 10% del fatturato delle aziende, nella versione approvata in via definitiva con il Decreto Aiuti bis è salita al 25 per cento. I problemi sono sul calcolo. Sono state confrontate le operazioni attive e passive realizzate dal 1 ottobre 2021 al 30 aprile 2022, con quelle dello stesso periodo tra il 2020 e il 2021.

Una base imponibile messa in discussione dalle aziende «in quanto spiega un analista di settore – il differenziale Iva (la variazione della cifra imponibile da un anno all’altro) è influenzato da diversi fattori che non riguardano solamente il costo delle fonti energetiche, come, per esempio, un banale aumento della quota di mercato». Per questo, la maggior parte delle aziende ha deciso di non pagare, scommettendo sull’incostituzionalità della misura (come fu per la Robin Tax) e su diversi vizi formali e presentando una valanga di ricorsi: all’Autorità per l’Energia, l’Arera e al Tar. Acea, per esempio, ha determinato in 28,5 milioni l’ammontare del contributo e ha pagato l’acconto, ma ha comunicato di aver avviato «le azioni necessarie per impugnare la norma».

Da una denuncia all’altra, sul caso extra-profitti si è aggiunto anche l’esposto del Codacons che, rivolgendosi alla Procura della Repubblica di Roma e alla Corte dei Conti, ha chiesto «l’apertura di una indagine volta ad accertare eventuali reati penali e contabili». «Con il decreto Aiuti bis – spiega l’associazione – il governo aveva previsto di incassare 10,5 miliardi, con le imprese del settore che avrebbero dovuto versare una prima rata (pari al 40% del valore della tassa, 4 miliardi) entro il 30 giugno e il restante 60% entro il 30 novembre». Al momento però la maggior parte delle aziende coinvolte avrebbe deciso di non pagare, lasciando vuote le casse statali: dei 10,5 miliardi di euro ipotizzati, sarebbero stati versato solo 1,3 miliardi.

Anche se sulle cifre non c’è chiarezza: «I 10 miliardi non si capisce da dove debbano arrivare visto che Eni ha stimato di dover versare 550 milioni, Enel 100 milioni ed Edison 78 milioni» commenta un analista secondo cui il governo dovrebbe pubblicare le stime attese e fare chiarezza sui numeri. Ma per il Codacons la responsabilità resta delle imprese energetiche che «hanno privato famiglie e imprese dei soldi necessari allo Stato per contrastare il caro-energia, proprio alla vigilia dei nuovi aumenti delle tariffe di luce e gas che scatteranno a ottobre».

Resta comunque una questione tempi. «Ormai la frittata è fatta, in nessun caso – commenta un analista – questi soldi potranno servire ormai per calmierare le bollette d’autunno». La prima pronuncia del Tar è prevista per l’8 novembre. Dall’esito dipende il percorso che prenderà il dossier, almeno per la quota di aziende che ha scelto il contenzioso. Se il ricorso viene respinto, tutti dovranno pagare l’acconto e il saldo; se i giudici sospendono l’efficacia del provvedimento e rimandano alla Consulta, addio al saldo di novembre fino al pronunciamento, non prima di un anno e mezzo; se il Tar non sospende la norma ma rinvia alla Consulta, si paga il saldo, ma resta in sospeso l’ipotesi dei rimborsi.


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