Oggi vorrei parlare della libertà di stampa e del ruolo dei media. Qualcuno potrà obiettare che per un argomento del genere non basterebbe una enciclopedia e ha pienamente ragione. Per questo mi limiterò a un paio di concetti che mi premono. La pandemia globale di Coronavirus ha avuto un impatto che ha cambiato la vita delle persone in tutto il mondo. Da quando il virus è stato scoperto per la prima volta nel dicembre 2019, ha infettato milioni di persone. In tempi di crisi in cui vi è una minaccia per la salute pubblica di questa portata, i governi sono autorizzati, e spesso obbligati, a prendere misure più restrittive di quanto farebbero in tempi normali. Tuttavia, molti di essi sembrano utilizzare il Coronavirus come un’opportunità per rafforzare ulteriormente le misure repressive e superare di gran lunga i limiti previsti dalle leggi internazionali sui diritti umani. Una maggiore sorveglianza, restrizioni alla libertà di espressione e informazione e limiti alla partecipazione pubblica stanno diventando sempre più comuni. Qual è allora il limite che non si può e non si dovrebbe superare? Il rischio di appiattirsi al pensiero unico c’è, eccome. Ruolo del giornalista è spesso e volentieri quello di andare controcorrente e perché no, provare a raccontare anche storie alternative. Faccio l’esempio di coloro che anche nelle nostre zone, qualche decennio fa, cominciarono a parlare di infiltrazioni mafiose. Vennero attaccati, accusati di scrivere fandonie, rovinare l’immagine turistica e chi più ne ha, più ne metta. E quasi sempre erano gli stessi colleghi giornalisti ad essere i primi accusatori. Ebbene pure oggi chi si pone domande come del resto è suo compito principale, rischia di essere tacciato di rifilare “fake news”. La pandemia sta portando tutti a vedere o bianco o nero. Una divisione fra “osservanti” e “negazionisti”. In mezzo, in realtà, c’è tutto un mondo all’interno del quale è necessario approfondire, porsi domande e per quanto possibile cercare delle risposte. Tornando alle preoccupazioni che hanno associazioni e organizzazioni internazionali per i contraccolpi di questa contrazione globale dei diritti umani, mi ha fatto rabbrividire quanto accaduto a Rimini di recente, con la manifestazione “in difesa della Costituzione”. Alcuni esponenti politici hanno chiesto a gran voce di vietarla. Personalmente ho poco da spartire con la maggior parte delle idee espresse in quella piazza, eppure per quanto mi riguarda vige il principio: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. Come si può chiedere e pretendere che cittadini italiani vengano silenziati con la giustificazione che le idee di cui sono portatori sono ‘fastidiose’? Davvero esistono idee e opinioni ‘nocive’? E come fa a non tornarci in mente, in un tale clima, la stagione in cui i Gramsci venivano sbattuti in cella perché “c’era un cervello da spegnere per almeno vent’anni’? Soprattutto in un’epoca del genere nella quale ci è vietato in alcuni casi di uscire, vederci, stare vicini. A prescindere dunque dai contenuti di quella protesta, diventa fondamentale fare sentire la propria voce, dire a chi ci governa che il popolo è presente e non dorme, che non gli si può fare ingoiare di tutto. Insomma un pungolo che fa rima con democrazia. Lo stesso pungolo che devono avere i giornalisti. I quali da un lato non possono e non devono certamente fare proprie tesi balzane, sconclusionate e senza fondamenti scientifici. Ma dall’altro devono continuare senza paura a scavare, chiedere, capire, accantonando il pensiero unico che è più adatto ai passacarte che non ai cani da guardia della democrazia, anche a costo di essere additati dal partito del “politically correct”.
David Oddone