L’ultimo ruggito di Berlusconi: ora inizia la guerra a Salvini il traditore

La parola fatale – tradimento – è stata evocata, e quando nel centrodestra si utilizza questo termine le cose non vanno mai a finire bene. “La Lega ha tradito il patto di consultazione con gli alleati”, sostiene in coro l’inner circle berlusconiano, seppure con diverse espressioni e sfumature polemiche nella consueta divisione tra falchi e colombe. Il tema del momento è ovviamente la scelta del presidente Rai Marcello Foa e la decisione di mantenerlo, anche senza voti, nel suo incarico. Ma sono mesi, fin dai primi colloqui per la formazione del governo, che gli scambi dialettici tra i due partiti ruotano intorno alla stessa accusa. «Se va col Cinque Stelle è un tradimento» è stato il ritornello forzista per l’intero arco delle consultazioni. Di tradimento si è parlato quando è uscito il programma di governo, giudicato giustizialista e ambiguo sui temi economici. E nella stessa categoria sono state annoverate molte decisioni successive: tradimento sulla scelta delle presidenze parlamentari col mancato avallo a Paolo Romani; tradimento sulla giustizia, con la nomina di un grillino al Ministero; tradimento sul decreto dignità, col suo giro di vite contestato dalle imprese.

Chiunque abbia memoria della fenomenologia del tradimento in casa Berlusconi conosce il peso dell’accusa, che è emersa sistematicamente nelle relazioni di Silvio Berlusconi con i suoi alleati, e talvolta coi suoi pupilli, nell’arco di un ventennio, trafiggendo uno dopo l’altro ribelli di peso come Pierferdinando Casini o Gianfranco Fini ma anche ex-prediletti, da Angelino Alfano a Raffaele Fitto. Tuttavia con la Lega una crisi di questa portata non si era mai vista. Né si era mai letto un editoriale del Giornale come quello scritto ieri da Alessandro Sallusti, che accusa senza mezzi termini Matteo Salvini, pur senza citarlo, di rappresentare un rischio per l’Italia: «Non ho nulla contro i sovranisti (…) ma la storia è piena di sovrani stolti e incapaci che hanno rovinato il loro popolo».

Chiunque abbia memoria della fenomenologia del tradimento in casa Berlusconi conosce il peso dell’accusa, che è emersa sistematicamente nelle relazioni di Silvio Berlusconi con i suoi alleati, e talvolta coi suoi pupilli, nell’arco di un ventennio, trafiggendo uno dopo l’altro ribelli di peso come Pierferdinando Casini o Gianfranco Fini ma anche ex-prediletti, da Angelino Alfano a Raffaele Fitto

Tutto fa pensare che il Cavaliere, dopo aver coltivato la speranza di una normalizzazione dei rapporti con Salvini fondata sulla gestione comune delle grandi questioni, abbia interpretato la forzatura su Foa come la pallottola di Sarajevo: qualcosa che chiude una partita politica e apre un conflitto. Per questo si è deciso a pronunciare un “non ci sto” senza appello. Sullo sfondo, c’è il rischio elettorale delle prossime regionali e delle Europee di primavera, il timore di una progressiva annessione alla Lega del mondo forzista, il giustificato allarme di larga parte della classe dirigente di Forza Italia che non intende consegnarsi al nemico senza lottare. Ma, soprattutto, c’è una consapevolezza politica maturata nel dibattito sul Decreto Dignità: le scelte economiche del governo giallo-verde cominciano a scontentare larghi mondi, e quando in autunno si entrerà in area Def, quando quelle ricette si faranno disegni di legge, si riapriranno spazi per rimontare nei sondaggi.

«Questo governo si è appena insediato e già ci sta impoverendo», scrive Sallusti. Ed è evidente che il tradimento, quello vero, che il centrodestra si prepara a sbandierare non riguarda le persone o le nomine ma le ragioni costituenti dell’alleanza tra i cosiddetti moderati: l’idea liberale, il matrimonio con le ragioni dell’impresa, i rapporti europei che hanno finora salvato l’Italia da un destino di tipo greco, e andando al fondo il “meno Stato e più mercato” che è stato il cemento dei vecchi accordi Berlusconi-Bossi e che l’attuale governo sta mettendo largamente in discussione.

Dunque e una volta tanto il tradimento di cui si parla, l’accusa capitale che si comincia a disegnare nelle dichiarazioni, non è una questione di lealtà individuale. Non è personale. Non riguarda i rapporti tra un anziano leone a fine carriera e il giovane leader che sta annettendosi il suo trono. Il Cavaliere Sto arrivando! benissimo che non può inchiodare Salvini come fece con altri, ma immagina che proprio la sua ruggente galoppata possa metterlo presto nei guai, e si prepara a quel momento. L’Inchiesta