«CERTI amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano…», direbbe Adriano Gallianinei giorni di masssima eccitazione, ispirato dalle parole e dalle note di Antonello Venditti. Ma amori e ritorni questa volta non riguardano i rossoneri, che ancora devono capire cosa voler (e poter) fare da grandi. La scena queste settimane se la prende tutta Roberto Mancini, che un anno dopo il clamoroso rientro ad Appiano Gentile (richiamato a furor di popolo dai tifosi e convinto da Massimo Moratti stanco dei lamenti di Mazzarri) può finalmente raccogliere i frutti di un complicatissimo lavoro. Ed è pronto a «riscrivere la storia del club. Perchè sono uno che ama le sfide».
PER DODICI mesi ha mantenuto sempre basso il profilo, e quando si è spinto in là con i proclami, lo ha fatto solo per iniettare fiducia ad un ambiente abbastanza depresso. Ora che sta vivendo una stagione da protagonista, ora che ha capito che si deve lottare non solo per la Champions ma che si può già puntare diritti allo scudetto, l’uomo di Jesi gongola. Felice. Soddisfatto. Convinto di essere sulla strada giusta. La sosta è servito per ricaricarlo, e a pochi giorni stagione dalla ripresa del campionato contro la matricola Frosinone il Mancio ha parlato del suo Mondo Inter a 360 gradi, in un’intervista concessa al sito qatariota della “Supreme Committee for Delivery & Legacy” durante il suo blitz a Doha, per organizzare l’imminente ritiro invernale. Senza però scivolare nella trappola della presunzione, senza dare per scontato che la strada da qui a maggio sia in discesa. «Al momento siamo in testa, ma sarà una stagione lunga, dura e competitiva. Il nostro obiettivo è la qualificazione alla Champions League», ripete l’allenatore, evitando di pronunciare la fatidica parola che resta però ben impressa nella sua mente. Inevitabili, poi, i confronti con la passata annata, parecchio deludente. Anche perché nessuno, neppure il miglior Mancio, ha la bacchetta magica. «È difficile cambiare le sorti di una stagione quando si subentra a metà della stessa, è sempre meglio lavorare con la squadra dal precampionato. Mi piace raccogliere sfide difficili». E qui viene fuori l’orgoglio di un uomo, che da giocatore prima e da allenatore poi ha lasciato il segno dove è andato: «Da giocatore ho cambiato le storie di Sampdoria e Lazio, da tecnico quella del Manchester City e dell’Inter nel 2006-2007», ricorda Mancini, riferendosi al primo scudetto vinto «sul campo sulla panchina nerazzurra. Quest’anno abbiamo fatto alcuni buoni acquisti, ma siamo una squadra giovane, con solo due o tre giocatori di esperienza».
UN MESSAGGIO in codice per Thohir, che dall’Indonesia fa sapere, in un’ennesima intervista: «Serve la Champions. Non avrei mai investito in un club calcistico in Italia per semplici questioni di fama, devo essere sicuro che le performance possono essere migliorate». In attesa di capire quali campioni arriveranno in gennaio per aiutare il tecnico nerazzurro a centrare gli obiettivi, il Mancio elogia Ibrahimovic («Considero Zlatan uno dei migliori giocatori al mondo. Meriterebbe di vincere il Pallone d’Oro perché è uno dei migliori attaccanti nel calcio moderno») e prova poi a indicare un possibile erede: «Ci sono un paio di giovani emergenti come Bernardeschi della Fiorentina. Ma per diventare stelle hanno bisogno di due o tre anni». Quelli che potrebbero bastare all’allenatore per riscrivere ancora una volta la storia dell’Inter. Meglio, della sua Inter.
Gazzetta dello Sport