Rivedere i poteri in mano al magistrato dirigente e i criteri della sua nomina, riequilibrare il rapporto tra togati e non togati all’interno del Consiglio giudiziario plenario, studiare nuove procedure per la nomina dei magistrati. Queste le priorità della riforma dell’ordinamento giudiziario che sono state annunciate nel corso dell’ultimo congresso di Stato dal segretario alla Giustizia, Augusto Casali. Ai membri dell’esecutivo, il responsabile del Dicastero ha anche mostrato il piano di operazione, tra tempi e scadenze da rispettare. I tecnici della Giustizia sono già al lavoro per redigere, entro la prossima settimana, la prima relazione con le soluzioni ai punti dolenti dell’ordinamento giudiziario. Il documento verrà poi discusso in commissione giustizia: probabile una riunione della commissione presieduta da Pasquale Valentini, già alla fine della prossima settimana. “Nel corso dell’ultima seduta della commissione giustizia – ricorda Casali – abbiamo stabilito di comune accordo, dopo un serio e lungo confronto, una serie di punti dolenti sui quali è necessario intervenire. Ora ci siamo accordati per preparare una serie di relazioni che individuino le varie soluzioni alle criticità. Solo in un secondo momento passeremo alla redazione dell’articolato”. Oltre ai veri nodi da risolvere, “c’è tutta una serie di interventi minori ma che si rendono comunque necessari: stiamo lavorando anche su questi”, annuncia Casali. Uno, il vero duplice concetto da preservare: autonomia della magistratura sì, ma piena libertà di governo della magistratura stessa, da parte delle istituzioni. “Tutto il lavoro di riforma – sottolinea il segretario Casali – va inserito in un quadro in cui l’autonomia della magistratura deve essere preservata come bene prezioso per la democrazia di questo paese, ma vanno anche individuati gli strumenti che diano la possibilità alle istituzioni di governare il sistema giustizia, cosa che ora si è persa”. Accusa forte che rimanda la memoria agli “scandali” – grattacapi da non poco conto per il congresso di Stato – che hanno caratterizzato l’ultimo anno di vita del tribunale, partendo dalle dimissioni (poi revocate) del commissario della legge Alberto Buriani, a quelle del neo giudice amministrativo Giacomo Nicolucci, al vibrante scambio di accuse tra il magistrato dirigente Valeria Pierfelici e l’altra “concorrente” alla poltrona Rita Vannucci, poi dimessasi dal gruppo Moneyval (dimissioni rigettate dal Consiglio giudiziario plenario), fino all’ultimo grido di allarme scagliato dal commissario della legge Vittorio Ceccarini che ha lamentato una “strategia volta a sovraccaricarlo di lavoro”, tanto da spingerlo alle dimissioni. Le quarte in poco più di 14 mesi. Troppe per il tribunale dei Tavolucci. Troppe per Casali. “Ma delle dimissioni di Ceccarini – che sta ancora attendendo la sentenza del Collegio Garante sull’azione di sindacato aperta nei suoi confronti per la conduzione del processo Biagioli, ndr – in congresso non ne abbiamo parlato – chiarisce Casali -. Il suo addio è stato ormai metabolizzato. Ora la questione dovrà tornare in Consiglio Grande e Generale, poi in commissione giustizia daremo il via alle procedure di sostituzione”. In questo caso, si attingerà alla graduatoria sortita dal concorso del giugno scorso: il primo in lizza è l’avvocato Manlio Marsili, del Fòro di Macerata. Sembra essere giunta invece alla soluzione la diatriba tra le due prime donne del tribunale, Valeria Pierfelici e Rita Vannucci. “Ho sentito pochi giorni fa il magistrato dirigente e parlato proprio mercoledì scorso con il commissario Vannucci – annuncia Casali -. Mi hanno confermato di aver avuto un incontro chiarificatore e di aver superato le divergenze. Per i prossimi giorni fisseremo un incontro a tre per mettere fine alla storia”. E sulle accuse del giornalista del Sole 24 Ore, Roberto Galullo che ha accusato il tribunale di avere delle “talpe” che avrebbero divulgato la prima maxi rogatoria inviata dal pm forlivese Fabio Di Vizio sul caso Carisp? “Galullo è molto fantasioso, se si occupasse di più delle cose di casa sua, avrebbe molto da fare: non fosse altro che in Italia ci sono quattro aziende che si chiamano Mafia, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita che gli darebbero ben più da scrivere – chiude laconico il segretario alla Giustizia -. Dentro il tribunale non ci sono talpe: è giusto quanto risposto dal commissario Vannucci. È molto più probabile che i legali di parte italiane abbiano fatto girare il fascicolo annesso alla rogatoria. Tutto qui”.
SanMarinoOGGI