C’era una volta l’orgoglio di fare l’operaio. Pensiamo ad anni lontani, gli anni degli operai specializzati, quelli che magari a San Marino, per entrare nelle officine del Fabbricone (cosi era chiamato la fabbrica tessile sita a Dogana), come raccontavano mia madre e di gli altri compagni, per un colloquio si indossava camicia e cravatta. Lavorare dentro al Fabbricone era un segno di distinzione, un modo per prendere le distanze dalla plebe disperata e ignorante,e soprattutto contadina.
Con i soldi di un anno ci si poteva comprare,la lambretta,andare a ballare,essere emancipati , liberi di fare e pensare diversamente dai padri.
Era l’aristocrazia operaia, erano donne e uomini che si consideravano appartenenti ad una classe che intendeva cambiare e lottare per assumere un ruolo fondamentale nella società, un ruolo riconosciuto, apprezzato, colmo di dignità.
Un ruolo che pretendeva di diventare un giorno egemonico.
Oggi non è più così. Per le tante trasformazioni nel mondo produttivo che però non hanno spazzato via il mondo del lavoro manuale, come alcuni vanno sostenendo.
Gli operai esistono ancora, magari frammentati in mille rivoli e in mille forme contrattuali. Ma oggi i padri operai pensano che i figli non debbano seguire le loro orme, debbano studiare per poi poter fare altri mestieri, nei più disparati settori della società moderna.
Fabbriche e cantieri si riempiono sempre più di lavoratori albanesi, marocchini, cinesi, indiani, un popolo multicolore.
Un fenomeno che non significa che l’industria ,non hanno più bisogno di operai specializzati. Tanto è vero che spesso e volentieri sentiamo di padroni e padroncini che si lamentano perché non trovano idonei operai, con esperienze e conoscenze. Specializzati, appunto. Parlo di una forza-lavoro di qualità, necessaria sopratutto per chi vuole intraprendere un’attività fondata su prodotti di qualità, capaci di vincere la competizione internazionale.
Anche per queste ragioni mi ha colpito una storia di vita, pubblicata su un giornale.
È la storia di un operaio ,che chiameremo Marco, che una volta aveva un buon posto di lavoro. Ha fatto per 14 anni l’operaio specializzato metalmeccanico.
Guadagnava bene: da 1900 a2200 euro al mese. Aveva 43 anni e poi è stato mezzo in mobilità, e dopo un anno, ha dovuto trasformarsi in un atipico flessibile, con moglie e tre figli. Uno di quelli di cui ha parlato in questi giorni una ricerca fatta dall’Università la Sapienza di Roma e che ha dimostrato come ormai siamo di fronte ad un non piccolo esercito di precari, non più giovanissimi.
Marco ha così cominciato l’odissea della ricerca del lavoro, passando da un’agenzia interinale all’altra, attraversando contratti di poche settimane, al massimo di un mese. Il suo «sapere» operaio non era più richiesto, tanta esperienza accumulata era resa inutile. È il dramma assai diffuso degli ultraquarantenni. Poi, alla fine, ecco quello che ha considerato un colpo di fortuna, ovverosia un contratto addirittura di dodici mesi che però scade a settembre. Questa volta da tessile, non da metalmeccanico.
Così ora guadagna 1000 euro al mese mentre altri 400 entrano con gli assegni familiare. La moglie lavora in una famiglia e ne guadagna 500 ma sono tutti destinati al mutuo per la casa. Nel frattempo i tre figli sono cresciuti e costano parecchio, anche per le crescenti spese scolastiche.
Marco, viste le difficoltà a far quadrare il bilancio e pensando al settembre col contratto che scade, pensa e ripensa, si è posto un interrogativo angosciante: e se ritirassi il figlio maggiore di 17 anni dalla scuola? Magari per chiedergli di andare a lavorare e così tappare qualche buco nelle finanze familiari?
Ma poi non ha trovato il coraggio per agire in tal senso.
Non voglio che finisca come me a fare l’operaio, magari se studia riesce a costruirsi qualcosa di meglio.
È una storia esemplare che ci riporta a quanto dicevamo all’inizio. E ad un altra domanda: ma davvero è impossibile ritornare a dare orgoglio e dignità alla professione dell’operaio?
Ma davvero vale meno di una velina o di una cubista o un calciatore, in questa nostra amata società?
Vorrei che agli operai fosse riconosciuto il ruolo che meritano…….
Un saluto da Michele Guidi (Orgoglio Operaio)