I MIGRANTI possono attendere. Prima si identificano e poi si respingono, poi ci si prende cura di chi merita protezione. L’Europa riunita nel consiglio straordinario del ministri degli Interni offre alla crisi migratoria una risposta al di sotto delle aspettative. L’accordo a redistribuire centosessantamila richiedenti asilo da Ungheria, Grecia e Italia tra gli altri Stati membri di fatto non c’è. A Bruxelles i ministri sono d’accordo nel dire che la proposta «costituisce la base per un accordo sulla distribuzione» all’interno dell’Ue, ma in che tempi e in che modi non lo precisano. Per ora c’è l’approvazione formale alla redistribuzione di quarantamila migranti da Italia (ventiquattromila) e Grecia (sedicimila) già decisa a luglio.
Per il ministro dell’Interno, Angelino Alfano «c’è la disponibilità a ricollocare centoventimila persone, e quindi l’accordo si farà», intanto però questo accordo non c’è. Ufficialmente si vuole attendere che i servizi giuridici del Consiglio valutino la fattibilità della proposta, per avere un via libera politico l’8 ottobre, alla prossima riunione dei ministri degli Interni. Ma la verità è che l’Europa resta divisa. Ungheria, Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca di quote non ne vogliono sapere, e anche chi è disposto a prendersi cura dei profughi chiede però di «tenere conto della flessibilità che potrebbe essere necessaria» agli Stati membri per farlo.
DUNQUE si partecipa con i debiti distinguo e nel frattempo si chiudono le frontiere. Dopo Germania e Ungheria anche Austria, Polonia, Paesi Bassi e Slovacchia annunciano di essere pronti a ripristinare i controlli alle frontiere. L’Europa ha paura, e vuole rassicurazioni dai Paesi di prima accoglienza. La riunione straordinaria dei ministri degli Interni è preceduto da un vertice a sette tra presidenza di turno del Consiglio, Commissione Ue, Francia, Germania e i tre paesi in prima linea, Grecia, Italia e Ungheria. A loro si chiedono gli hotspot, i centri di registrazione e identificazione. «Prima ancora delle cifre dobbiamo essere sicuri che gli hotspot funzionino», scandisce il lussemburghese Jean Asselborn, presidente di turno. Un concetto ripetuto successivamente dai ministri di Francia e Germania, Bernard Cazeneuve e Thomas De Meziere, in una conferenza stampa congiunta. All’Italia si chiedono sei di questi centri, il primo dei quali a essere operativo sarà Lampedusa. Anche qui c’è disponibilità, e dunque si farà. Però a patto che l’Ue faccia il suo. L’Italia ottiene che il mandato dell’agenzia Frontex sia rafforzato, con poteri di rimpatrio europei.
UN RISULTATO che stride col mancato accordo sui centoventimila restanti, e per di più incompleto perché di questi quarantamila ricollocamenti i Paesi Ue si sono messi d’accordo per ripartirsene trentaduemila. Alla fine la decisione vera è quella di velocizzare i processi di registrazione e rimpatrio. Non si approva neppure la proposta di dei Paesi sicuri, quella che serve per respingere chi non ha diritto all’asilo, quanti provengono dagli Stati candidati all’ingresso in Europa. Anche la lista è rinviata all’8 ottobre.