
(ANSA) – REGGIO CALABRIA, 11 NOV – La Corte di Cassazione ha
messo il sigillo sul “cold case” dell’omicidio di Giuseppe
Cartisano, avvenuto a Reggio Calabria il 22 aprile del 1988. La
Suprema Corte, infatti, ha dichiarato inammissibile il ricorso
presentato dagli avvocati di Vincenzino Zappia, accusato del
delitto consumato 34 anni fa e ritenuto dalla Dda il braccio
destro del boss Giuseppe De Stefano.
È diventata definitiva, quindi, la condanna a 30 anni di
carcere inflitta a Zappia dalla Corte d’Appello di Reggio
Calabria che, nel settembre 2021, aveva condiviso l’impianto
accusatorio prospettato dal pm Walter Ignazitto.
Difeso dagli avvocati Gianfranco Giunta a Giancarlo Murolo,
Zappia è storicamente indicato dai pentiti come uno dei
principali killer della seconda guerra di mafia che insanguinò
la città dello Stretto tra il 1985 ed il 1991.
L’omicidio di Cartisano avvenne nella centralissima piazza De
Nava e rappresentò, secondo l’accusa, la risposta all’agguato in
cui fu ucciso il boss destefaniano Carmelo Cannizzaro. Durante
la fuga, ci fu un conflitto a fuoco tra i carabinieri e i due
sicari. Uno di questi, Luciano Pellicanò, fu ucciso, mentre
Zappia rimase ferito lasciando tracce ematiche sull’asfalto.
Tracce che all’epoca non consentirono agli inquirenti di
risalire al killer ma che furono conservate nell’archivio della
Procura. Adesso, gli accertamenti tecnici su quel liquido
ematico si sono rivelati fondamentali per la Dda di Reggio
Calabria guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri. Il pm
Ignazitto, infatti, ha comparato il dna trovato sulla scena del
delitto con quello di Zappia riuscendo così a chiudere il
cerchio sulle responsabilità nell’omicidio di Cartisano e dando
un volto, quello di Vincenzino Zappia, a quel sicario a distanza
di oltre 30 anni. (ANSA).
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