Odio e social media (l’editoriale di David Oddone)

Sapete da dove deriva la parola “linciaggio”? Le fonti non sono così chiare, tuttavia siamo all’epoca della rivoluzione americana (1765-83) quando Charles Lynch, giudice di pace della Virginia, ordinò punizioni extralegali per i lealisti; nacque così la cosiddetta “legge di Lynch”. Nel profondo Sud, prima della guerra di secessione americana, gli attivisti del movimento per l’abolizione della schiavitù e altre persone che si opponevano allo schiavismo divennero talvolta obiettivi della violenza omicida di gruppo.

Passano i secoli, ma evidentemente la lezione non ci è servita. Anzi, le cose se possibile sono peggiorate, visto che gli odiatori e i bugiardi seriali, possono contare oggi su platee capaci virtualmente di diffondere il “verbo” e raggiungere l’intero globo nel tempo di un clic.

Il Regno Unito è stato recentemente teatro di violente rivolte anti-immigrazione che hanno sconvolto città e paesi, mettendo in luce il potenziale distruttivo della disinformazione online. La scintilla delle rivolte è stata accesa da voci infondate su un giovane musulmano richiedente asilo responsabile di un attacco con coltello che ha provocato la morte di tre bambini. Le false notizie si sono diffuse rapidamente sui social media, alimentando un’ondata di xenofobia.

Il problema della disinformazione e del suo impatto reale è una questione sempre più pressante per il governo britannico (e non solo), che ha promesso di perseguire i partecipanti alle rivolte ma anche coloro che fomentano l’odio online. Un primo segnale di questa determinazione è stato l’arresto di un uomo di 28 anni a Leeds, accusato di incitamento all’odio razziale attraverso post minacciosi su Facebook.

La dinamica delle rivolte ha visto l’attacco a edifici pubblici, l’incendio di automobili e l’aggressione a poliziotti. Due hotel della catena Holiday Inn, noti per ospitare richiedenti asilo in attesa di decisioni sulle loro domande, sono stati dati alle fiamme. Scene da film post apocalittico, che mai penseremmo di vedere in Inghilterra. La rapida diffusione di informazioni inattendibili sull’attacco di Axel Rudakubana – cittadino britannico e dunque tutt’altro che un richiedente asilo musulmano – è stata agevolata da algoritmi delle piattaforme social, che hanno amplificato il contenuto anche dopo che la polizia aveva smentito le notizie false.

La questione della regolamentazione dei contenuti online si fa cruciale. Le piattaforme social come X, Facebook e TikTok hanno politiche interne contro l’incitamento all’odio e alla violenza, ma l’implementazione di queste norme è sempre stata problematica, soprattutto in periodi di crisi.

Da un lato c’è la sacrosanta e indispensabile difesa della libertà di pensiero; dall’altro si deve garantire la sicurezza e scoraggiare ogni forma di discriminazione e brutalità.

Il governo britannico dal canto suo ha varato l’Online Safety Act, una normativa che impone obblighi alle piattaforme social per la rimozione di contenuti illegali, ma la sua attuazione è ancora in corso. Ofcom, l’ente regolatore, ha dichiarato che il contrasto ai contenuti illegali online è una priorità e che le prime norme saranno operative entro la fine dell’anno. Le aziende che non rispetteranno le nuove regole rischiano multe fino al 10% del loro fatturato globale.

La drammatica vicenda ci porta a riflettere sull’importanza di un giornalismo, di un’informazione veritiera e responsabile. La diffusione di fake news rappresenta una minaccia tangibile alla coesione sociale e alla sicurezza pubblica.

D’altra parte, la menzogna sistematica può soltanto avvenire in condizioni in cui la società è disposta a riceverla. Un monito che dovrebbe vederci tutti in prima linea.

 

David Oddone

(La Serenissima)