In Francia si apre una nuova fase di incertezza politica dopo la clamorosa caduta dell’esecutivo guidato da François Bayrou. Il progetto di legge finanziaria, portato ieri in Aula, non ha superato l’ostacolo del voto di fiducia: 364 “no” contro 194 “sì”. Un verdetto che ha decretato la fine del governo dopo appena nove mesi, segnando la quarta esperienza di premier in un anno e mezzo e un record negativo per la Quinta Repubblica, nata proprio per garantire stabilità.
Tagli, pensioni e giorni festivi al centro della bocciatura
La manovra, che prevedeva 44 miliardi di tagli, la riduzione di due festività e la conferma della riforma pensionistica mai digerita da ampi settori del Paese, è stata respinta in blocco da buona parte delle forze parlamentari. Le opposizioni hanno additato Macron come “responsabile politico” del crollo dell’esecutivo, parlando di una Francia precipitata in un nuovo salto nel buio.
Pressioni da sinistra e destra
Jean-Luc Mélenchon e la sinistra radicale hanno chiesto esplicitamente le dimissioni del presidente, mentre il Rassemblement National di Marine Le Pen, forte nei sondaggi, spinge per uno scioglimento immediato dell’Assemblea e nuove elezioni. Macron, invece, ha preso tempo: domani incontrerà Bayrou e nei prossimi giorni annuncerà la nomina di un nuovo premier.
Dichiarazioni nette e scenari incerti
I socialisti hanno posto una condizione: dirsi pronti a governare solo con un esecutivo interamente di sinistra, senza i macroniani. I Républicains ribadiscono di restare all’opposizione, anche se oltre la metà dei loro deputati aveva votato a favore di Bayrou. Dal fronte presidenziale, l’ex premier Gabriel Attal ha avanzato una proposta diversa: nominare subito una figura con il ruolo di “negoziatore”, incaricata di mediare per diverse settimane tra i partiti su un compromesso di bilancio, senza mirare a una vera coalizione. Sarebbe la strada verso un “accordo di scopo” per approvare la manovra del 2026 e garantire stabilità temporanea.
I tre possibili sbocchi
Gli analisti sottolineano tre strade principali: un nuovo governo sostenuto da un accordo trasversale (considerata l’ipotesi più realistica), le elezioni anticipate invocate dalla destra, o le dimissioni di Macron, bocciate sul nascere dall’Eliseo e ritenute improbabili. Lo spettro dei mercati, preoccupati da un deficit al 5,8% del PIL e da un debito salito al 113%, pesa sulle scelte dei prossimi giorni.
Domani la piazza, tra timori e ricordi dei gilet gialli
Il malcontento sociale promette di riversarsi di nuovo in strada: mercoledì 10 settembre è attesa una grande mobilitazione nazionale dal titolo “Blocchiamo tutto”, già ribattezzata come la stagione dei “nuovi gilet gialli”. Il Ministero dell’Interno ha disposto la presenza di 80mila agenti per contenere possibili blocchi stradali e disordini.
Una Francia sospesa
Con un Parlamento diviso e la pressione della piazza pronta a esplodere, il Paese resta sospeso tra incertezza politica ed emergenza economica. Sul tavolo non ci sono più soltanto i nomi di un nuovo premier o di nuovi equilibri istituzionali: c’è la tenuta stessa della Francia, che a pochi mesi dalla prossima legge di bilancio sembra camminare sul filo, con il rischio di inciampare nel baratro di recessione e instabilità.