
DONHUANG – Prima settimana di gara della Pechino-Parigi, siamo a Donhuang, ai margini del deserto del Tenggher. Diciamo subito che la nostra Fiat 500 targata San Marino va che é una meraviglia, con un solo inconveniente: la rottura del motorino d’avviamento ci obbliga alla partenza a spinta. Ma abbiamo sempre intorno nugoli di curiosi che non se lo lasciano dire due volte.Siamo ovviamente nelle parti basse della classifica per un insabbiamento nel nulla del deserto della Mongolia interna, nei campi agricoli di Ordos durante il quarto giorno di gara. Il ritardo ha superato il massimo della tolleranza e ci ha impedito la consegna della tabella di marcia. Ci hanno così appioppato tutte le penalità della giornata, come se non fossimo partiti e avessimo saltato controlli orari e prove speciali. Oggi abbiamo preferito percorrere un itinerario alternativo per non sottoporre la piccola 500 a due prove speciali su sabbia e sterrati in valichi oltre i 3.500 metri.
In testa alla classifica generale c’è una Porsche 911, insidiata da due Chevrolet Fangio coupé d’anteguerra che quando ti superano fai il segno della croce per essere stati schivati da missili terra-aria.

Ha fatto rumore l’arresto di due americani in gara con una Datsun del ‘75. L’accusa era di essere entrati in una zona militare severamente proibita, là dove il divieto era evidente da ripetuti cartelli lungo la strada (ovviamente scritti in cinese). Poteva scattare un’accusa di spionaggio, ma interventi dell’ambasciata USA e buoni uffici degli organizzatori hanno risolto la faccenda. L’auto, inizialmente confiscata e sottoposta a ispezione insieme a tutti i bagagli, non è certo un modello che passa inosservato: targata ZEBRA ha l’intera livrea a strisce bianche e nere e al centro del cofano l’immagine enorme di un teschio. Siamo tutti ansiosi di rivedere Ryan e Isahia Salter in carovana e farci raccontare dal vivo l’esperienza di ritrovarsi prigionieri in Cina.
Roberto Chiodi/Repubblica.it