Reggio Calabria. A 17 anni spara e uccide la madre «Le aveva vietato pc e cellulare»

BALI
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UN COLPO di pistola sparato alla tempia della propria madre «colpevole» di averle vietato l’uso incontrollato del telefonino e l’accesso ai social network. Un matricidio che sgomenta, quello di Melito Porto Salvo, il comune più meridionale della Calabria e dell’Italia continentale. Perché protagonista dell’insano e tragico gesto (che il magistrato ritiene meditato e pianificato) è una diciassettenne, figlia unica di un’infermiera di 44 anni. Una ragazza di una famiglia normale e perbene.
Cosa succede il 25 maggio nella villetta bifamiliare in frazione Annà, sulla vecchia statale 106, poco distante dal ponte sulla fiumara «Tabacco»? Cosa avviene in quella notte di primavera rotta da uno sparo e dalle grida di una ragazza sola in casa con la mamma? Cosa passa nella testa di un’adolescente che corre in lacrime a chiamare lo zio materno, nell’altra parte dell’edificio, dicendogli che un estraneo è entrato in casa e ha freddato la madre?

PER CINQUE LUNGHI MESI la verità si compone nelle pagine del fascicolo gestito dal capitano dei carabinieri Gennaro Cascone (e dal suo successore Gaetano Piccioni), coordinato dal procuratore di Reggio, Federico Cafiero de Raho. Quello che emerge, man mano che si va avanti, è un raccapriccio familiare cha ha per protagonista la minorenne, ieri arrestata su ordine del gip per i minori.
Davanti al corpo senza vita della mamma – caposala a Villa Anya, una clinica finita nel 2008 in uno scandalo per i legami con la ‘ndrangheta – la ragazzina riferisce una strana storia: «Mi sono alzata e ho visto delle ombre per casa, un uomo alto, altissimo, più di due metri».

MA I CARABINIERI non la bevono. Non convince il racconto zoppicante e contraddittorio e, soprattutto, il fatto che in casa non ci siano segni di effrazione. La pistola è quella del padre e la ragazza sostiene di non averla mai toccata. Ma i successivi accertamenti tecnici, svolti dal Ris di Messina, la sconfessano. Sulla pistola vengono repertate tre impronte parziali, una delle quali risulta del suo dito indice. Già i risultati dello Stub, peraltro, avevano fatto emergere evidenti tracce secondo le quali a sparare sarebbe stata la studentessa.
Cosa l’avrebbe indotta a uccidere la madre? Nella cortina di riserbo degli inquirenti trapela che a spingere la figlia a premere il grilletto sono i rimproveri ricevuti dalla madre per il suo scarso rendimento scolastico. Dopodiché, l’infermiera decide di privare la figlia di cellulare e computer, impedendole di accedere a quella comunità virtuale che riempie le sue giornate, ma che la distrae dagli studi facendole rischiare la bocciatura.
La ragazza, ora trasferita in un istituto minorile fuori regione, deve rispondere di omicidio aggravato dai motivi abbietti e futili. Il gip parla di «lucida freddezza e premeditazione», ma sullo sfondo c’è una morbosa dipendenza dalla Rete che alcuni specialisti descrivono come una droga. Quando i carabinieri si presentano a casa per arrestarla la diciassettenne li accoglie gelida e disinteressata.
Un caso analogo avvenne a Cosenza il 13 maggio. La polizia arrestò un diciassettenne per l’omicidio della madre, un’insegnante di musica di 53 anni. Il ragazzo non sopportava più di essere sgridato: la strangolò e poi la gettò per le scale, simulando un incidente.

La Stampa