Rimini calcio, l’ultimo autogol. Rinuncia alla Lega Pro

de meisNiente soldi, niente iscrizione al campionato e fallimento dietro l’angolo. Si chiude così, a sei anni dalla sua nascita, la storia dell’Ac Rimini 1912, la società di calcio cittadina che nella calda estate del 2010 è rinata dopo l’addio della gestione Cocif, inizialmente sotto la gestione di Biagio Amati e poi di Fabrizio De Meis. C’è chi ci ha creduto in questo nuovo inizio, c’è chi non ci ha creduto sin dal primo istante, ma in molti hanno esultato per i campionati vinti e si sono disperati per le cocenti retrocessioni. La parola fine ieri è stata pronunciata, dopo mesi di conti che non tornano e improbabili trattative di cessione. «L’Ac Rimini 1912 comunica di non aver raggiunto in questi ultimi giorni – poche le parole messe nero su bianco dal club di piazzale del Popolo – la quota economica necessaria per mettersi in regola con i parametri richiesti e completare l’iscrizione al prossimo campionato di Lega Pro». A un mese da quella salvezza conquistata e festeggiata sul campo dalla squadra di Acori si deve constatare la fine di un altro ciclo, l’ennesimo nella storia del calcio riminese. Non che nei mesi precedenti non ci fossero stati dei segnali allarmanti. Stipendi non pagati, fornitori costantemente sul piede di guerra, amare penalizzazioni, partite a rischio.
Una lenta agonia – uscita anche dall’ ‘intima’ scena cittadina con lo sciopero minacciato dai calciatori che è rimbalzato nei palazzi del calcio che contano – resa meno amara soltanto dal calore dei tifosi, quelli che la domenica sugli spalti del ‘Romeo Neri’ passano pomeriggi in compagni condividendo una passione. Cosa non da poco. Così a fare onore ai pochi che ci hanno creduto c’è la ‘Colletta dell’orgoglio’ grazie alla quale c’è qualche euro da mettere in cassa e che permette alla squadra di Acori di sentirsi meno sola. Ma questo non basta a rimettere in piedi una società che ormai da anni zoppica vistosamente.
Tra i debiti ‘vecchi’ e debiti ‘nuovi’ c’è da perderci la testa con la calcolatrice. Rimini perde il calcio professionistico per la terza volta negli ultimi sei anni e questo qualcosa vorrà pur dire. Ma soprattutto per l’ennesima volta si perde quel piccolo patrimonio umano che si chiama vivaio. Lì crescono e si divertono i giovani biancorossi della nostra città. Non molti, magari pochi, nella loro vita continueranno a giocare a pallone, ma in quanti potranno avere un buon ricordo (e quindi tradurlo in passione) di una squadra, una società, che deve fare sempre i salti mortali per il solo fatto di di esistere?