Dopo oltre un decennio di battaglie legali, una famiglia riminese ha finalmente ottenuto giustizia per la morte della madre, avvenuta nel 2013 a seguito di complicazioni legate a una trasfusione di sangue. Il caso si conclude con un risarcimento di oltre 77mila euro da parte dell’Ausl Romagna, riconosciuto grazie alla legge 210/1992 che tutela le vittime di danni irreversibili causati da trasfusioni infette.
Un lungo iter giudiziario
La vicenda ha radici profonde: già nel 1997 la famiglia aveva avviato il percorso per ottenere il riconoscimento del danno. Tuttavia, solo nel 2024 la Commissione medica di Padova ha confermato il legame tra la trasfusione e il decesso, permettendo finalmente ai familiari di chiudere un capitolo doloroso della loro vita.
Responsabilità e mancanza di controlli
Negli anni Ottanta, pratiche di controllo insufficienti portarono alla diffusione di sangue contaminato, causando infezioni gravi a migliaia di pazienti. Il Ministero della Salute è stato ritenuto responsabile per non aver garantito adeguati controlli sui materiali ematici impiegati nelle trasfusioni, determinando così un’esposizione al rischio per numerosi pazienti, tra cui la donna riminese deceduta.
Il risarcimento e le implicazioni future
Il risarcimento concesso alla famiglia rappresenta un passo importante nella tutela dei diritti delle vittime di malasanità. Questo caso, oltre a restituire un minimo di giustizia ai familiari, evidenzia ancora una volta la necessità di sistemi di sicurezza più rigidi nel settore sanitario per prevenire tragedie simili in futuro.