Domani, mercoledì 7 maggio, i lavoratori del colosso del fast food McDonald’s incroceranno le braccia. Il luogo scelto per la protesta non è casuale: il presidio si terrà nel pomeriggio, davanti al Palacongressi di Rimini, dove si svolge l’annuale convention nazionale dei licenziatari italiani del marchio. Mentre all’interno si celebra l’immagine vincente della multinazionale, all’esterno esploderà il malcontento.
Alla base dello sciopero, convocato da Filcams, Fisascat e Uiltucs, c’è l’assenza totale di un confronto per costruire un contratto integrativo aziendale valido per tutto il gruppo. Una richiesta ferma, avanzata da anni, e sempre ignorata. L’obiettivo è garantire migliori condizioni a oltre 35.000 dipendenti, di cui solo una minima parte assunti direttamente dalla società madre, mentre la grande maggioranza lavora nei ristoranti gestiti in franchising.
La protesta colpisce uno dei simboli globali della ristorazione veloce, ma si radica in problemi molto concreti: salari bassi, diritti limitati, turni impegnativi e una rigidità che, secondo i sindacati, blocca ogni tentativo di migliorare le condizioni lavorative.
Durante la manifestazione sarà messo in scena anche un flash mob, simbolo di una mobilitazione che non si esaurisce in una giornata, ma fa parte di una campagna destinata a proseguire finché la multinazionale non aprirà un tavolo di confronto.
In un contesto dove altre grandi catene del settore hanno già avviato percorsi contrattuali migliorativi, l’assenza di dialogo da parte di McDonald’s rappresenta per i lavoratori un muro inaccettabile. La vertenza, ormai di portata nazionale, non riguarda solo una sigla o una sede, ma tocca la dignità di chi manda avanti ogni giorno i 740 ristoranti sparsi sul territorio italiano.
Il segnale che parte da Rimini è chiaro: senza ascolto e senza cambiamenti, la protesta continuerà. E questa volta, a essere sotto pressione, non sono solo le griglie, ma l’intero modello di gestione del lavoro.