SALE LA PROTESTA PER IL MANCATO AUMENTO DELLE INDENNITA’ NELLA PA

Negli ultimi giorni il Congresso di Stato, forse per paura di essere troppo munifico rispetto a voci componenti del salario ferme da dieci anni, ha deciso per un clamoroso dietrofront.  Il clamore non è suscitato dalla valutazione di decidere che no, le indennità di funzione ad un tratto non sono più da rivalutare, ma dal fatto che dopo solo 4 settimane dalla sigla del menzionato, e tanto decantato da parte governativa, accordo tripartito si decida che quelle firme apposte da governo e parti sociali più a nulla valgono.
Ci chiediamo se questa sia una dimostrazione di forza o di debolezza.

Nel merito, oggi si legge che il risparmi che si otterrebbe grazie alla mancata rivalutazione delle indennità di funzione servirebbe a finanziare ammortizzatori sociale e non ben precisati piani di formazione e/o riqualificazione; scopo nobile e ben degno di essere preso in esame, in particolare dalle forze sindacali.

Complimenti, quindi, alla bontà della proposta e alla nobiltà di intenti, una domanda però a questo punto sorge spontanea: fino a che punto questa proposta è da ritenersi valida? Forse già domani ci verrà detto che abbiamo inteso male (se si rinnegano gli accordi firmati  figuriamoci le parole). Data la volubilità del governo sull’argomento ci chiediamo quindi se dietro questa apparente sensibilità verso il mondo del lavoro non si nasconda, invece, l’ennesima fregatura.

In merito agli anatemi lanciati nelle ultime ore dal Segretario di Stato per gli Affari Interni contro il sindacato preferiamo non commentare, la invitiamo però a non strumentalizzare il rapporto con le organizzazioni sindacali né in positivo, quando si tratta di sbandierare ai quattro venti i passi in avanti fatti in materia di riforma della pubblica amministrazione, a detta del Segretario con il totale accordo del sindacato (quando in realtà a nostro avviso rimangono molti punti oscuri); né in negativo come nell’occasione in questione additando il sindacato di usare un linguaggio offensivo e parole volgari, ammettendo quindi implicitamente che l’accordo tripartito prevede l’aumento di tutte le voci retributive.

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