San Marino. Arresto di Gatti. ”I disegni di restaurazione”, Roberti: ”In tribunale non si fermano, bisogna buttargli la stessa merda che ci buttano loro. Noi non possiamo risparmiare né Buriani, né la Pierfelici”

Giuseppe RobertiEcco che cosa scrivono gli inquirenti nel mandato di arresto dell’ex Segretario di Stato Gabriele Gatti del 17 Ottobre 2015:

I disegni di restaurazione ? Pochi atti di indagine nei primi mesi del 2014 sono stati sufficienti per far emergere la grave crisi in cui versava una classe politica inusitatamente longeva e radicata nel paese. La semplice convocazione per gli interrogatori di uomini politici è bastata per mettere in discussione un equilibrio di potere che i più ritenevano intangibile. Quando era diventato ormai impossibile occultare il degrado, i componenti dell’associazione hanno incominciato ad avere paura e si sono fatti aggressivi. Alla vigilia dei primi provvedimenti cautelari, inconsapevoli di ciò che sarebbe accaduto, si registrano incontri per affinare la strategia e sottrarsi alle proprie responsabilità.

Gabriele Gatti, Claudio Podeschi e Giuseppe Roberti si incontrano a tale scopo. Roberti vuole «delegittimare il tribunale», usando argomenti scabrosi che possano insinuare il dubbio sull’operato dei magistrati. I colloqui sono registrati da Roberti all’insaputa di Podeschi e Gatti. Roberti ha più volte dichiarato di poter disporre di documenti a sostegno delle sue affermazioni, ma non avendo le prove, le fabbrica abusivamente. I suoi interlocutori, ammansiti dal vittimismo di Roberti, si lasciano avvolgere dalle sue spirali, ne assorbono i veleni, che sortiranno effetti a distanza di mesi, o anni.

Tre delle registrazioni, infatti, sono state depositate dall’Avv. Rossano Fabbri nell’ambito del procedimento 306/2010 R.N.R. a ridosso dell’imminente dibattimento. In realtà, queste stesse conversazioni (ed altre ancora) erano già state inviate, in forma anonima, al Tribunale alcune settimane or sono.

Resta il rilievo che Roberti, non riuscendo più a reggere la tensione, produce tutto quello che ha, nel tentativo disperato di volgere gli eventi a suo favore. Non comprende, tuttavia, che le registrazioni contengono la confessione di quegli stessi reati di cui si era proclamato innocente.

La miscela scaturita dalle prime indagini era indiscutibilmente incandescente, e con puntualità essa è esplosa, scuotendo la società civile dall’apatia che l’avvolgeva. Un inatteso moto di protesta spontanea contro la vecchia politica ha coinvolto vasti settori sociali, per lo più emarginati dalla trama degli scambi politici che i partiti di governo avevano tessuto intorno a sé.

Negli incontri viene elaborata la strategia per fermare le indagini. Roberti ha arruolato tra le fila dei suoi sostenitori Alvaro Selva, con il compito di organizzare il depistaggio. E «la teoria di Alvaro» è di riesumare vecchie vicende come quella relativa all’«evasione La Pietra» (della quale si dirà). Per verità, il reclutamento di Alvaro Selva non incontra i favori di tutti (Gatti: «Alvaro non capisce un cazzo»), ma il suo apporto viene considerato decisivo. Alvaro Selva – a dire di Roberti ? è a conoscenza delle intenzioni del Tribunale e le riferisce a Roberti. Quest’ultimo viene, perciò, informato di «cosa ha detto Buriani alla figlia Maria Selva». Proprio Buriani «ha detto anche alla figlia di Alvaro… che il Conto Mazzini ormai a loro non gli interessava più» (Roberti). La notizia viene accolta con entusiasmo (Gatti: «Dobbiamo fare un brindisi»), sebbene i successivi sviluppi delle indagini la smentiscano. Il ruolo di Selva è anche un altro: «Alvaro parla con i movimenti», ossia ha ? o dice d’avere ? contatti con gli esponenti di alcuni gruppi di opposizione. Per questo, è congegnale al disegno di restaurazione in atto. L’involuzione deve essere presentata come una rivoluzione: «tutti i giorni sentono… non dai movimenti chiaramente, ma dalla gente normale… se ci fossero loro [la precedente generazione politica ormai in disgrazia] … sarebbe meglio» (Gatti).

Insomma propugnano un inverosimile ritorno al passato, giustificato dalla comprovata difficoltà in cui versa il Paese, che indurrebbe l’opinione pubblica a rimpiangere la vecchia gestione del Paese (Roberti: «A ridateci i puzzoni …se ci fossero loro, meglio loro che questa gentaccia»).

Con sorprendente banalità e brutale cinismo, gli associati descrivano, allarmati, lo svolgimento delle indagini penali come una sorta di indebito commissariamento della politica da parte dei giudici – con un refrain costantemente riproposto, anche in tempi recentissimi. Il ragionamento (pedissequamente ripetuto in ogni dove) è volto a fomentare una reazione dei partiti che, negli auspici degli indagati, dovrebbe invertire bruscamente la rotta, revocando ogni possibile appoggio alla magistratura: dobbiamo […] se questi non si fermano… [fare] commissione di inchiesta sul tribunale, ma questi cosa cazzo si credono di poter fare?» (Roberti). La volontà è quella di rovesciare i ruoli, sottraendo le indagini al Tribunale, per affidarle al potere politico. È la politica a dover giudicare i giudici.

La brutalità delle parole usate all’indirizzo dei giudici è pari alla ferocia del fine perseguito: «in tribunale non si fermano […] bisogna buttargli la stessa merda che ci buttano loro […] Noi non possiamo risparmiare né Buriani, né la Pierfelici a me, me ne sbatte il cazzo di tutti e due» (Roberti).

I partecipanti ai vari incontri cercano di far leva sulle insicurezze, sul clima di dissafezione e di sfiducia nelle istituzioni tutte, compresa la magistratura. Vogliono condizionare, a loro vantaggio, un’opinione pubblica disorientata, in apprensione per il suo futuro, timorosa di perdere il benessere conquistato con fatica e sacrifici per pagare il conto di anni di malgoverno.

I clandestini convitati sono convinti che basti poco per reintegrarli nel ruolo sociale ormai perduto. La strategia della mistificazione è sapientemente presentata da Gatti: «bisogna essere sereni e affrontare le situazioni con calma. Loro hanno un bubbone grandissimo che è la Vannucci. Accanto a questo bubbone, ci sono una serie di vecchie questioni che riguardano Buriani, che possono riguardare come sono state gestite altre situazioni, ma quando si dice una cosa si deve essere in grado di dimostrarla, perché sennò ti mettono in buca, perché sono tutti insieme su questo… allora io sono per tirarle fuori ma bisogna dimostrarle. Se io ti dico Vannucci, te lo dimostro, l’han fatta fuori… non c’è più. Se dico che in ambienti italiani c’è incazzatura… io te lo dimostro, io ho testimoni del Presidente del Senato…non si può scherzare. Io pongo questo problema … non te Peppe, però siamo in grado di trovare un argomento politico da mettere sui giornali dove viene fuori… come mai avete fatto fuori la Vannucci? Perché era una persona seria che faceva le rogatorie serie?».

Le valutazioni espresse dai “congiurati” sul conto della Dott. Vannucci (Roberti: «non è vero niente»; Gatti: «è la più grande cazzata che ho mai detto nella mia vita») dimostra la pretestuosità e l’infondatezza dell’argomento.

La strategia va un po’ rafforzata. Gatti: «Viene fuori un argomento. In seconda battuta [qualcuno] dice la testa della Vannucci l’ha chiesta la Pierefelici. La terza cosa dice: la Pierfelici ha fatto un accordo con Buriani perché i due devono gestire il tribunale d’ accordo con una parte politica. La quinta cosa dice… al punto tale che Buriani e la Pierfelici erano talmente negativi l’uno… insomma… deve venire come una goccia… tun… tun. Poi viene fuori, dopo tutte queste cose qui, addirittura sembra che Buriani fece una cosa su La Pietra e chiamiamo Cesarini, chiamiamo Gatti, hai capito?».

Perché il disegno riesca, occorre cercare l’aiuto di qualche fiancheggiatore esterno. Ed ecco la soluzione proposta da Gatti: «Sulla Vannucci, [Augusto] Casali può dire qualcosa. Però poi si perde … però lui potrebbe dire, con Giarrusso ha buoni rapporti».

Insomma, non bisogna lasciare nulla di intentato. A questo punto Gatti millanta buoni rapporti con qualche magistrato italiano, che, nel suo disegno, dovrebbe essere «raggiunto» per «rendere credibile» una ricostruzione spericolata, così da creare «un crescendo nel quale loro si trovano in braghe di tela». Basterà farsi introdurre dicendo «c’era un commissario della legge che faceva le rogatorie che è stato mandato via perché non prendeva ordini dal governo …non mi sembra sia la cosa giusta».

Alla fine tutti si dicono d’accordo e Podeschi si impegna a coinvolgere Casali: «io domani devo dirlo ad Augusto. Lo mettiamo già in moto così parte la macchina». «Domani parliamo con Augusto e gli facciam fare intervista e gli facciam tirar fuori la Vannucci tu vai».

Lanciando un’involontaria iattura, Roberti precorre i tempi: «Per me tra un mese arriva a tutti la botta».

Vi è da aggiungere che, mentre le millanterie verso i magistrati italiani sono sconfessate dagli eventi successivi, quanto ad Augusto Casali, “functus est munere suo”: di lì ad alcuni giorni, in perfetto stile politichese, Casali ha entusiasticamente aderito alla richiesta di soccorso. In una lettera pubblicata da un quotidiano sciorina gli argomenti cari ai vecchi amici: «le notizie che riguardano l’attività giudiziaria sammarinese escono con impressionante continuità sui mezzi di informazione, almeno per certi filoni di indagine. Evidentemente si è scelto di percorrere la via mediatica che però, spesso, appare orba o, nella migliore delle ipotesi, parziale, ma poi, se questa è la scelta, non ci si può meravigliare se le risposte giungono a loro volta sempre per via mediatica e non ci si può appellare alla lotta fra bande solo quando le risposte arrivano».

L’ultima frase suona sinistramente minacciosa, ma Casali non se ne fa scrupolo. Nel prospettare una reazione mediatica contro i giudici, si preoccupa al tempo stesso di assegnare alla politica il compito (esclusivo) di analizzare i fatti. Perciò lancia l’idea che quelle in corso non siano indagini efficaci, tanto da auspicarne altre di ben più ampio respiro: «ribadisco un concetto già espresso diversi mesi addietro, in tempi non sospetti [auto-accusatio manifesta]: credo sia giunto il momento di avviare una vera e propria operazione verità sulle vicende politiche degli ultimi decenni, per capire veramente che cosa sia successo e perché». Secondo Casali «compiendo approfondite analisi, necessarie per il fatto che probabilmente sono morti e nati governi a causa di taluni accadimenti; contestualizzando i fatti, avvenuti in epoche diverse tra di loro, in contesti economici, sociali e politici differenti tra di loro. Analizzando anche nefasti fenomeni influenzati dagli accadimenti, come il clientelismo e il nepotismo, che sempre pesante questione morale rappresentano. Molto probabilmente ci accorgeremo che, al di là delle posizioni di comodo, il passato somiglierà molto al presente, saranno cambiate solo le tecniche, e, senza fare di tutta l’erba un fascio, ci accorgeremo che non tutti sono uguali, tanto ieri, quanto oggi».

Insomma l’assunto non è molto diverso da quello di Roberti: serve qualcuno che gridi a gran voce «a ridateci i puzzoni», magari una commissione d’inchiesta.

Secondo gli auspici dei nostri, la macchina era stata effettivamente avviata, alimentata dalle “prove casalinghe” elaborate da Roberti. Risentimento, cinismo, disperazione e interpretazione offuscata della realtà fanno da humus del concertato attacco ai giudici.

Il punto di forza avrebbero dovuto essere la vicenda relativa all’evasione di La Pietra. In spregio alle risultanze processuali, Roberti elabora una sua verità “duble face”: bisogna far dire a Gatti che la vicenda giudiziaria è stata un atto persecutorio ordito nei suoi confronti da Buriani e, al tempo stesso, occorre far credere all’opinione pubblica che ci sia stato un ingiustificato lassismo di Buriani per avvantaggiare Gatti.

Secondo l’intenzione di Roberti, Gatti si dovrebbe prestare a testimoniare di aver concordato con Buriani l’esito dell’indagine, durante un incontro avvenuto «alla Fin Project», alla presenza, appunto anche di Roberti. Sennonché la “trovata” di Roberti, appare a Gatti un’inutile calunnia (Gatti: «È una cazzata questa qui. Ti mettono dentro… no dall’Italia… non si possono fare le cose così… non possiamo dire noi eravamo lì, abbiam parlato di sta roba… ci vogliono gli elementi ragazzi… io incomincio a capire… Ma secondo te, io sono proprio imbecille? [Roberti: No tu non sei imbecille per niente] allora non mi far passare da imbecille eh..ok… Messa così no… non si può….Ma vai da un avvocato normale, tu hai degli avvocati che non capiscono un cazzo, se tu avevi un avvocato con le palle tu non c’eri più lì, primo…». «Rossano Fabbri sta agli avvocati come il prete di Domagnano sta al Papa di Roma insomma». «Mentre la questione della Vannucci è essenziale e molto grossa, politicamente, giuridicamente e da punto di vista esterno… il come… prima ci vuole metodo in politica perché se non abbiamo metodo non riusciamo a fare niente tutte le volte che uno perde la testa e fa le cose in maniera approssimativa sbaglia. Te pensa quanti errori ho fatto nella mia vita che potevo massacrare della gente, se io quella volta che è venuto fuori che dovevo dimettermi… se riflettevo 10 volte prima di fare una roba, cosa avrebbe prodotto quella situazione lì ….io ho agito di istinto»).

Le certezze di Roberti si incrinano («questa qui di Buriani dici che non regge?»), ma lui non si dà per vinto, anche perché la prova fabbricata a tavolino l’ha già “registrata”. In un precedente incontro, con audio perfetto, lo stesso Roberti e il fido Menicucci inscenano una recita a soggetto, per dimostrare che il giudice ha ceduto alle minacce di Gatti: «Gatti mi chiamò e saltava per il soffitto, ho preso paura, “c’ho venti fucili in casa”, faceva da matto. Mi aveva spaventato… È intervenuto il micio furioso con me, diceva io ammazzo tutti, perché gli deve aver detto qualcosa una specie di, non cancelliere .. sai te… che deve registrare queste archiviazioni…. un procuratore…» (Roberti).

Resta il fatto che Gatti, pur non condividendo l’invenzione dell’incontro a tre, si dice ben disposto a coltivare l’argomento “La Pietra”. Solo che va dosato ed evocato al momento giusto: «l’unica accusa che io non voglio… dicono perché scappi fuori adesso con La Pietra… l’unica cosa che non voglio è di essere un povero disgraziato che si attacca ai mulini a vento, Io ai mulini a vento non mi sono mai attaccato… ho affrontato delle situazioni delicate però ho sempre avuto l’umiltà di confrontarmi con gli avvocati perché altrimenti si fan delle cazzate.. ma con le palle» (Gatti). Insomma, l’argomento non è ancora maturo, bisogna aspettare un momento più propizio: «La Pietra viene dopo… oramai c’è un’indagine e vi convocano [in Italia davanti al magistrato asseritamente amico di Gatti]… allora è credibile». (…)

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