La questione Banca CIS finisce di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La novità però è che la vicenda potrebbe chiudersi prima di una eventuale pronuncia.
La Cedu infatti ha dato alle parti tempo fino al 6 di marzo per addivenire a una transazione amichevole. Per ora dunque è tutto fermo e non si è ancora aperta la fase contenziosa.
Le domande poste di fronte ai giudici europei riguardano l’incapacità degli istanti nel recuperare i loro beni originariamente detenuti presso la Banca CIS dopo la sua liquidazione coattiva nel 2019.
A seguito di una serie di misure, comprese quelle legislative, adottate dalle autorità e dall’acquisizione progressiva della Banca CIS da parte di varie entità, i fondi degli istanti sono diventati indisponibili per un totale di tredici anni. In particolare, secondo una specifica risoluzione adottata nel 2019, i titolari di conti avrebbero dovuto riavere i loro fondi se ammontavano a meno di 100.000 euro senza alcuna perdita di valore. Per fondi superiori a tale importo, sarebbero stati convertiti in obbligazioni bancarie riscattabili secondo un determinato programma: per importi compresi tra 100.000 e 300.000 euro, entro tre anni, e per quei fondi superiori a 300.000 euro (fino a 1 milione), entro cinque anni, periodo durante il quale si applicherebbero rispettivamente tassi di rendimento del 0,15% e del 0,25%.
Tuttavia, il 22 luglio 2022, quando gli istanti avrebbero dovuto recuperare i loro beni, secondo un annuncio sul sito dell’autorità di vigilanza per il settore bancario e finanziario della Repubblica di San Marino, a causa di ulteriori misure legislative, i loro fondi sono stati trasformati in titoli di Stato che sarebbero stati trattenuti per ulteriori dieci anni (a un tasso di rendimento del 1%). Gli istanti sono venuti a conoscenza di questo annuncio poco dopo, attraverso la stampa.
Fondandosi sull’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, gli istanti si sono lamentati dell’incapacità di recuperare o trasferire i loro beni per ulteriori dieci anni. In particolare, ritenevano di aver avuto una legittima aspettativa di recuperare i loro fondi (fino a 300.000 euro) nel 2022. Invece, si sono trovati di fronte a una misura che non era in conformità con una legge di sufficiente qualità e che aveva imposto un onere sproporzionato non solo per la sua durata (successivi ai primi tre anni) ma anche perché il valore di quei beni era diminuito del 36%. Oltre a essere sproporzionata, la misura adottata nel 2022 non aveva fatto alcuna distinzione tra situazioni individuali (contrariamente alla risoluzione originale del 2019) o consentito il recupero parziale delle somme nel corso degli anni. Gli istanti hanno notato che un simile corso di azione non si è verificato in situazioni simili con altre banche, dove i beni sono stati rimborsati ai titolari di conto senza complicazioni simili.
Così a “La Serenissima” l’avvocato Stefano Pagliai del foro di Firenze (foto), che rappresenta i 39 ex correntisti: “Siamo molto soddisfatti che la Corte abbia ritenuto degne di approfondimento le questioni che abbiamo posto. Confidiamo che questo sviluppo possa portare finalmente tutte le parti coinvolte a sedersi ad un tavolo per trovare una soluzione accettabile per tutti. Gli ex correntisti su questo sono sempre stati disponibili ma non sempre dall’altra parte vi è stata apertura al confronto ed alla condivisione. Adesso speriamo davvero si apra una nuova stagione”.
David Oddone
(La Serenissima)