San Marino. Capitol Hill: ora i social lascino il campo ai giornalisti – “Qui gatto… ci cova” la rubrica di David Oddone

Ritorno su un argomento che avevo già introdotto, probabilmente intravedendo un epilogo come quello odierno. Mi riferisco alla chiusura definitiva dell’account Twitter del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. La domanda che mi ero posto e che alla luce nelle novità, pongo nuovamente è la seguente: è giusto censurare un Capo di Stato? Chiaramente non ho cambiato idea nel giro di un mese, per quanto la recente escalation di violenza qualche riflessione ulteriore la faccia emergere. Resto fermamente contrario a qualsiasi limitazione della libertà di pensiero. Premesso tutto questo, io credo innanzitutto che ci si debba domandare se si può parlare di censura nel caso un social media decida unilateralmente di rimuovere o non pubblicare un commento. Diciamo subito per sgombrare il campo da equivoci che Twitter o Facebook non sono testate editoriali. Sono aziende che forniscono un servizio gratuito a fronte del rispetto di alcune regole che chi si iscrive, accetta implicitamente. Pertanto la varie piattaforme sono legittimate ad intervenire e chi le utilizza sa a che cosa può andare incontro: bandi, sospensioni, rimozione di commenti e quant’altro. Non essendo testate, a decidere quale contenuto vada bene oppure no, non ci sono i giornalisti, ma programmatori, informatici, webmaster, piuttosto che algoritmi. Aggiungo che nel momento stesso in cui qualcuno, attraverso il largo seguito e visibilità che garantiscono i social media più diffusi, incita all’odio, tali piattaforme non possono rendersi corresponsabili di quello che messaggi distorti possono provocare. E’ una questione legale non di poco conto. Trump o chi per lui, nel momento stesso in cui scrive un post, lo fa in maniera diretta, senza la mediazione dei professionisti dell’informazione. Per essere ancora più chiari se – è un mero esempio – attraverso Facebook invitassi i miei followers a sparare a Tizio e qualcuno mi prendesse sul serio e lo facesse, è molto probabile che tale social media dovrebbe rispondere penalmente e civilmente dell’accaduto. Altro discorso è se Trump inviasse un comunicato stampa, organizzasse una conferenza stampa, o parlasse in un talk show alla presenza dei giornalisti. Nei casi che ho appena elencato se il Presidente – o chiunque – lanciasse un messaggio d’odio, certamente nessuno lo censurerebbe visto che in qualità di Capo di Stato eletto dal popolo ha indubbiamente titolo per esprimere le proprie idee. Ma i colleghi interverrebbero commentando, chiarendo, spiegando, insomma farebbero il proprio mestiere. E alla fine alla gente arriverebbe un messaggio filtrato e corretto. Immagino che qualcuno potrebbe obiettare che un dialogo diretto e senza mediatori sarebbe più verace e non strumentalizzabile in quanto esso sarebbe né più, né meno di quello che pensa ed afferma chicchessia. In linea di massima quest’ultima potrebbe anche essere una osservazione condivisibile. L’altra faccia della medaglia però è quanto accaduto a Capitol Hill. Un messaggio d’odio con premesse assolutamente false ha arringato le folle, provocato morti e sommosse. Ha esposto al pubblico ludibrio la più grande democrazia del mondo e colpito al cuore uno Stato nelle sue Istituzioni e luoghi più sacri. Ecco allora la risposta alla domanda iniziale. E’ giusto censurare Trump? La mia modestissima risposta è che i social media bene hanno fatto a bloccare una possibile escalation di violenza, lasciando così il campo ai giornalisti che non devono e non possono censurare il Presidente Usa, ma hanno il diritto e il dovere di riportarne i contenuti scevri da falsità e bugie, dando vita ad un lecito anzi auspicabile contraddittorio. Nell’interesse di tutti, in primo luogo dei cittadini.

David Oddone

Rubrica “Qui gatto… ci cova”