San Marino. Caro prezzi e inflazione: altro che spending review, si rischia una nuova austerity … di Alberto Forcellini

Agosto da brivido: l’inflazione sale a livelli visti solo quasi 40 anni fa. Secondo le stime dell’Istat, ad agosto l’indice nazionale dei prezzi al consumo registra un aumento dello 0,8% su base mensile e dell’8,4% su base annua (+ 7,9% nel mese precedente). Energia elettrica e gas (che in un solo mese è rincarato del 25%) producono l’accelerazione dei prezzi che si riversa sugli alimentari lavorati e i beni durevoli.

Tutta l’eurozona registra lo stesso fenomeno, con nuovi record che toccano il 9,1%. Nel frattempo, resta centrale il dibattito sui prezzi del gas anche nella campagna elettorale italiana, con i partiti che si scontrano sul rigassificatore di Piombino, un eventuale tetto ai prezzi, la disgiunzione dei prezzi del gas e dell’elettricità. Ma si discute anche del gas che abbonda in Adriatico e nel Tirreno, della necessità di investire subito nelle rinnovabili e nel frattempo introdurre i razionamenti.

C’è un grosso allarme sulla produttività delle aziende e anche sui risparmi. La variabile più pericolosa che i risparmiatori generalmente trascurano è proprio l’inflazione. Nel tempo essa tende ad erodere il potere d’acquisto del capitale, che rimane comunque costante. È proprio la costanza del patrimonio che trae in inganno molti risparmiatori inconsapevoli, i quali credono di avere il patrimonio sotto controllo quando in realtà il loro potere d’acquisto sta calando per l’aumento dei prezzi (capitale costante + aumento prezzi = diminuzione ricchezza). Cioè, a parità di patrimonio, i risparmiatori diventano più poveri.

Ragionando per ipotesi, se l’inflazione occidentale attuale (vicina al 10% annuo) rimarrà costante nei prossimi anni, dopo 10 anni i risparmi fermi sul conto corrente o in contanti avranno perso circa il 50% del potere d’acquisto.

Altro discorso è il rischio di austerity, come già avvenne quasi 50 anni fa. Era l’autunno del 1973 e la guerra dello Yom Kippur vide schierata Israele contro parte del mondo arabo guidata da Egitto e Siria. L’Occidente appoggiò l’alleato israeliano e per ritorsione l’OPEC, il cartello petrolifero composto perlopiù da stati mussulmani, quadruplicò dall’oggi al domani il prezzo del greggio a 12 dollari al barile. Le economie di Europa e Nord America sprofondarono nella stagflazione, un mix irrituale (fino ad allora) di crisi e inflazione.

In Italia, povera di materie prime e largamente dipendente dall’energia importata (sembra che non sia cambiato nulla in mezzo secolo!), il governo Rumor adottò misure eccezionali. Per prima cosa, fu vietato l’uso dell’auto di domenica. Nacquero le famose domeniche a piedi. Furono abbassati i limiti di velocità delle auto per risparmiare carburante, mentre ai comuni fu imposto di dimezzare il numero dei lampioni accesi nelle ore di buio. I negozi non poterono più illuminare le vetrine. Tra le misure più curiose, anche il taglio di sette feste religiose, tra cui l’Epifania, ripristinata qualche anno dopo a furor di popolo.

A fare la differenza tra i due periodi è che nel ’73 era l’aumento dei consumi che faceva aumentare i prezzi. Oggi, l’aumento dei prezzi fa diminuire i consumi, anche se il tasso di inflazione è lo stesso.

E comunque, di fronte al rischio dell’austerity, o di un lockdown energetico, non mancano i sammarinesi che tornano sulla questione delle sanzioni contro la Russia. Hanno sbagliato tutto. Non avremmo dovuto allinearci all’Europa. Avremmo dovuto rimanere neutrali e in buoni rapporti con la Russia, così non avremmo avuto problemi col gas.

Sono ragionamenti di pancia, dettati probabilmente da un egoismo nazionalistico fondato sul paradigma “tutto e sempre”, anche perché basta pensare che San Marino non ha un metanodotto direttamente proveniente dalla Russia e un comportamento diverso da quello europeo avrebbe comportato ben altre penalità e limitazioni.

L’ideologia del “tutto e sempre” ha portato con sé evidenti storture: sciare sui ghiacciai in estate dopo averli coperti con teli bianchi o la notte di Capodanno dopo aver sparato neve e acceso riflettori; nuotare in piscine che hanno la temperatura della vasca di casa e non quella del mare; stare in appartamenti o in uffici con lo stesso abbigliamento quattro stagioni; mangiare le fragole a Natale e le arance a Ferragosto.

Quando il presidente francese Emmanuel Macron annuncia la “fine dell’era dell’abbondanza” allude a un confine molto sottile tra il “molto” e il “troppo”.  Questa svolta non si tratta di una scelta, o l’effetto di una qualche felice decrescita programmata, ma una necessità. Assecondarla significa imporla e questo non è mai accolto positivamente. Si tende a immaginare una responsabilità, a cercare un colpevole, a proporre una reazione, la sovversione di un sistema che ha fallito. E questo, più che un brivido passeggero tra chiacchiere in libertà, è il pericolo che ci porta l’autunno che verrà.

a/f