Oggi scriverò un articolo irriverente.
Metto le mani avanti nella speranza che nessuno si senta offeso.
All’indomani della vittoria della Roma in Conference, alla vigilia della finale di Champions e subito dopo la fine di un campionato che ha laureato il Milan campione d’Italia, credo sia giusto e anche legittimo parlare di calcio.
Per qualcuno però non è così.
Ho colto in una conversazione fra due persone tutta la rabbia e lo sdegno per festeggiamenti e bandiere: “Ma come? C’è la guerra, la gente muore ogni giorno di Covid e qui tutti in piazza a ridere e festeggiare”.
Questo parola più, parola meno, il senso dell’invettiva con la bava alla bocca, con tanto di interlocutore che annuiva soddisfatto.
Ammetto di essermi sentito tirato in ballo e toccato nel vivo.
Che cosa ho fatto allora? Quello che faccio ogni volta che accadono queste cose.
Rifletto e cerco di comprendere il punto di vista dell’altro.
E’ nel torto chi prova a distrarsi per qualche ora, distogliendo lo sguardo dall’orrore, concentrandosi su un po’ di mediocrità?
Scriveva Kundera nell’insostenibile leggerezza dell’essere: “Ciò che dà un senso al nostro comportamento è sempre qualcosa che ci è totalmente sconosciuto”.
E’ proprio così.
Abbiamo a che fare tutti i giorni con luce e gas che aumentano, pieni di benzina perennemente più cari, bollettini con centinaia di morti.
Eppure siamo/sono lì ad esultare per un gol di Leao, il cui unico problema di questi tempi è se accettare un rinnovo contrattuale ritoccato di qualche milione di euro, piuttosto che passare le vacanze estive in questo emisfero o nell’altro.
La verità, se così la possiamo chiamare, come tante volte accade, sta nel mezzo.
Girando per la mia città si possono scorgere terrazzi e case dalle quali sventolano bandiere ucraine e della pace, ma anche del Milan.
Siamo sicuri che i primi siano virtuosi e i secondi degli stupidotti superficiali?
Assolutamente no, anzi.
Spesso e volentieri chi si ritrova a “tifare” Ucraina, quasi davvero fossimo ai mondiali, denota semplicemente una volontà di conformarsi alla massa.
Ho l’impressione – non voglio generalizzare ci mancherebbe – che si faccia a gara a chi è più solidale: purtroppo solo a parole. Fosse per davvero sarebbe un’altra storia.
Chi con orgoglio sfoggia la sua fede calcistica, mi sembra invece più verace e sincero.
Magari sbaglio: d’altronde sto scrivendo da un bar e credo mi sia concesso lanciare provocazioni.
Ecco che allora ci avviciniamo a toccare il punto che mi interessa maggiormente.
Ognuno ha il diritto di essere se stesso e di non essere giudicato se non vuole seguire pedissequamente il volgo.
Giusto festeggiare, essere felici. E se per qualcuno basta una partita di calcio, beato lui.
Senza naturalmente perdere di vista la realtà e tenendo bene a mente il “panem et circenses” attraverso il quale gli antichi romani soggiogavano il popolo, anestetizzando le menti ed evitando in questo modo rivolte e rivendicazioni.
Perché come ci ricorda lo scrittore e collega Ruggero Guarini “se un uomo è abitato da un desiderio vero, ha in sé qualcosa che tende sempre a resistere o a contrapporsi allo spirito del tempo”. Amen.
David Oddone