San Marino. C’è la guerra e c’è chi si permette di far festa per lo Scudetto? – “Qui gatto… ci cova” la rubrica di David Oddone

Oggi scriverò un articolo irriverente.

Metto le mani avanti nella speranza che nessuno si senta offeso.

All’indomani della vittoria della Roma in Conference, alla vigilia della finale di Champions e subito dopo la fine di un campionato che ha laureato il Milan campione d’Italia, credo sia giusto e anche legittimo parlare di calcio.

Per qualcuno però non è così.

Ho colto in una conversazione fra due persone tutta la rabbia e lo sdegno per festeggiamenti e bandiere: “Ma come? C’è la guerra, la gente muore ogni giorno di Covid e qui tutti in piazza a ridere e festeggiare”.

Questo parola più, parola meno, il senso dell’invettiva con la bava alla bocca, con tanto di interlocutore che annuiva soddisfatto.

Ammetto di essermi sentito tirato in ballo e toccato nel vivo.

Che cosa ho fatto allora? Quello che faccio ogni volta che accadono queste cose.

Rifletto e cerco di comprendere il punto di vista dell’altro.

E’ nel torto chi prova a distrarsi per qualche ora, distogliendo lo sguardo dall’orrore, concentrandosi su un po’ di mediocrità?

Scriveva Kundera nell’insostenibile leggerezza dell’essere: “Ciò che dà un senso al nostro comportamento è sempre qualcosa che ci è totalmente sconosciuto”.

E’ proprio così.

Abbiamo a che fare tutti i giorni con luce e gas che aumentano, pieni di benzina perennemente più cari, bollettini con centinaia di morti.

Eppure siamo/sono lì ad esultare per un gol di Leao, il cui unico problema di questi tempi è se accettare un rinnovo contrattuale ritoccato di qualche milione di euro, piuttosto che passare le vacanze estive in questo emisfero o nell’altro.

La verità, se così la possiamo chiamare, come tante volte accade, sta nel mezzo.

Girando per la mia città si possono scorgere terrazzi e case dalle quali sventolano bandiere ucraine e della pace, ma anche del Milan.

Siamo sicuri che i primi siano virtuosi e i secondi degli stupidotti superficiali?

Assolutamente no, anzi.

Spesso e volentieri chi si ritrova a “tifare” Ucraina, quasi davvero fossimo ai mondiali, denota semplicemente una volontà di conformarsi alla massa.

Ho l’impressione – non voglio generalizzare ci mancherebbe – che si faccia a gara a chi è più solidale: purtroppo solo a parole. Fosse per davvero sarebbe un’altra storia.

Chi con orgoglio sfoggia la sua fede calcistica, mi sembra invece più verace e sincero.

Magari sbaglio: d’altronde sto scrivendo da un bar e credo mi sia concesso lanciare provocazioni.

Ecco che allora ci avviciniamo a toccare il punto che mi interessa maggiormente.

Ognuno ha il diritto di essere se stesso e di non essere giudicato se non vuole seguire pedissequamente il volgo.

Giusto festeggiare, essere felici. E se per qualcuno basta una partita di calcio, beato lui.

Senza naturalmente perdere di vista la realtà e tenendo bene a mente il “panem et circenses” attraverso il quale gli antichi romani soggiogavano il popolo, anestetizzando le menti ed evitando in questo modo rivolte e rivendicazioni.

Perché come ci ricorda lo scrittore e collega Ruggero Guarini “se un uomo è abitato da un desiderio vero, ha in sé qualcosa che tende sempre a resistere o a contrapporsi allo spirito del tempo”. Amen.

David Oddone

Rubrica “Qui gatto… ci cova”