Dal 2013 al 2024 hanno perso potere d’acquisto in misura compresa tra il 13% ed il 26% circa, a seconda dei settori contrattuali, dell’importo preso a riferimento e degli indici ISTAT utilizzati. Contributi e fisco hanno influito fino a 8,5 punti percentuali. Occorre rinnovare i contratti e sostenere le famiglie più in difficoltà, non di certo aumentare le tasse. Pubblichiamo le tabelle esplicative
In occasione dell’Assemblea Generale dei Quadri CSdL del 28 maggio scorso, oltre a riferire sullo stato del confronto con il Governo in merito alle ipotesi di revisione delle imposte dirette, sono state illustrate le tabelle relative agli effetti delle riforme IGR e previdenziali dal 2013 al 2024. Effetti che hanno aggravato la già consistente perdita del potere d’acquisto di stipendi e pensioni dovuto alle insufficienti rivalutazioni contrattuali e legislative.
Per quanto riguarda i redditi da lavoro dipendente sono stati presi ad esempio un dipendente del settore edile ed uno del settore industriale ed artigianale, perché rappresentano quelli che, nel medesimo periodo, hanno avuto rispettivamente la minore e la maggiore rivalutazione degli stipendi lordi per effetto dei differenti rinnovi contrattuali. I lavoratori degli altri settori stanno in mezzo, ma in prevalenza propendono verso il settore edile, ovvero verso il basso.
I redditi lordi presi quale base di riferimento nel 2013 sono 1.400, 2.000 e 2.5
Sui pensionati hanno inciso il blocco al 2,2% della rivalutazione delle pensioni dal 1° gennaio 2023, l’introduzione dell’imposta di bollo dalla medesima data, oltre al maggiore carico fiscale derivante dagli interventi sull’IGR. Già in precedenza erano in vigore due decurtazioni: dal 2006, rivalutazione decrescente oltre i 1.400 euro mensili; dal 2012, l’introduzione della ritenuta di solidarietà, con aliquota crescente a partire da 1.500 euro mensili.
Per i lavoratori dipendenti, hanno inciso l’aumento dei contributi ISS e FONDISS, pari al 3,4% per il periodo 2013 – 2024, oltre al maggiore carico fiscale derivante dagli interventi sull’IGR. Dal 2006, i contributi sono aumentati del 6,5%: a regime, nel 2029, saliranno di ulteriori 2,5 punti percentuali.
Quindi, ampliando l’orizzonte temporale, la perdita del potere d’acquisto di stipendi, salari e pensioni è ancora peggiore, ma ci siamo soffermati sul periodo 2013 – 2024 per comparare gli effetti della riforma IGR con gli altri fattori.
Ne emerge un quadro desolante: le pensioni nette hanno perso valore in misura compresa tra il 12,6% ed il 20,6% in rapporto all’inflazione FOI italiana, che è quella presa a riferimento per la rivalutazione degli assegni previdenziali. In rapporto all’inflazione IPCA, metro di misura per il contratto dei settori industriale ed artigianale, la differenza sale di altri 2,6 punti percentuali.
Gli stipendi netti reali dei lavoratori di questi ultimi settori sono invece scesi tra il 15,8% ed il 17%, mentre quelli di un dipendente del settore edile sono crollati tra il 25,3% ed il 26,1%.
Vero è che prima della crisi finanziaria del 2008, che ha fatto crollare il “sistema San Marino” basato sull’anonimato societario e sul segreto bancario, gli stipendi crescevano più dell’inflazione. Nell’ambito dei rinnovi contrattuali successivi si è dovuto tenere conto degli effetti di questa crisi, così come di quella pandemica, sul sistema delle imprese e sul bilancio dello Stato, ma ora basta!
Ci troviamo in una vera e propria emergenza redditi, cui occorre dare risposta. Altro che aumentare le tasse e costringere le famiglie a spendere di più in territorio!
CSdL
