San Marino. “Dazione” a Celli di un orologio che oggi varrebbe oltre 150mila euro. Non fu diffamazione. Banca Cis fulcro della “cricca”? La Giustizia risponda!

 

Federico D’Addario sostenendo, testimoniando di fronte alla Commissione di Inchiesta su Banca Cis di una “presunta dazione a titolo gratuito di un raro e prezioso orologio a Simone Celli, allora Segretario di Stato alle Finanze, da parte di esponenti di Banca Cis”, una dichiarazione -come si legge nell’ordinanza 10/2022 emessa dal Giudice di Appello Penale Francesco Caprioli- “astrattamente integrante una condotta corruttiva”, non si è macchiato dei reati di “diffamazione, calunnia e ingiuria” che erano alla base di una denuncia presentata nei suoi confronti dallo stesso Celli.
Infatti, se è vero che la denuncia contro D’Addario fu già archiviata, con parere favorevole del Procuratore del Fisco, dal Giudice Inquirente con decreto datato 11 gennaio 2022, questa decisione fu oggetto di ricorso.

Ebbene, inappellabilmente, anche questo ricorso è stato ora rigettato ed è arrivata, sotto forma di archiviazione, una chiara assoluzione del denunciato “per l’assenza -si legge- di presupposti sui quali fondare ulteriori accertamenti” nonché del fatto che “la sincerità del prevenuto non possa essere esclusa oltre ogni ragionevole dubbio”.

Ben inteso, questa archiviazione significa esclusivamente, e nulla più, che quando D’Addario ha sostenuto di fronte alla Commissione di inchiesta che da Banca Cis si sarebbe regalato all’allora Segretario di Stato alle Finanze del governo AdessoSm un “raro e prezioso orologio” non è incorso nel reato di diffamazione, ingiuria o calunnia, visto che alla luce degli elementi acquisiti nella fase istruttoria non vi sarebbe “ragione di ritenere” che l’accusa “potrebbe evolvere a vantaggio dell’accusa in sede dibattimentale”. Come dire: gli elementi raccolti non avrebbero potuto portare ad una condanna dopo un processo.

Questa ordinanza, però, ci fornisce un elemento in più rispetto questa “misteriosa” vicenda “astrattamente integrante una condotta corruttiva”. L’orologio era un Patek Philippe “Nautilus”, con codice prodotto 5980. Seppure non chiarisca fino in fondo se si trattasse di un modello in acciaio, platino oro giallo o oro rosa, è un orologio che oggi ha un valore a cinque zeri. Tanto che su “Chrono24”, sito di riferimento per gli appassionati di orologi, la migliore offerta su quel modello, usato, dotato di garanzia e scatola originale è di ben 167.700 euro, mentre il più costoso – un Nautilus 5980-1R (dove 1R sta per oro rosa) nuovo, mai indossato- è offerto a 720mila euro.

Una quotazione, quest’ultima, che comunque appare eccessiva nonostante l’uscita dalla produzione di questo modello di grande successo della Patek Philippe ne abbia alzato fortemente il valore sul mercato.
Dunque, alla base di questo “mistero” non ci sarebbe stato un regalino da qualche migliaia di euro…Non sta a me, ovviamente, svelare la fondatezza o meno dell’accusa, che comunque è stata ritenuta degna di nota nelle conclusioni -si ricordi approvate all’unanimità dal Consiglio Grande e Generale- della Commissione parlamentare di inchiesta.

Ma chiarezza, su questa eventuale “astrattamente integrante una condotta corruttiva”, va fatta da chi di dovere. E in fretta. Come su tutte le altre ombre emerse nel lavoro della Commissione di inchiesta, già a suo tempo trasmesse all’Autorità giudiziaria.

Ombre che vanno diradate, specie dopo questo ennesimo ineccepibile, sotto i profilo giuridico, provvedimento del Prof. Caprioli. Ora, vien da chiedersi -mi si permetta la brevissima polemica, semplificando un po’ il concetto- chissà se anche questa volta i tanti i tanti ”giuristi” nostrani, come avvenuto sulla sentenza di appello del Mazzini, sosterranno che le sentenze quando sono di assoluzione non contano o sono frutto di interpretazioni e non di Diritto perchè lo dicono loro…

Detto questo oggi è appurato e certo che non vi sia nessun elemento concreto per sostenere che D’Addario abbia calunniato o diffamato Celli. Se su questo aspetto è stata fatta chiarezza, sulla gestione politica e anche giudiziaria di quello che avveniva attorno a Banca Cis, ogni verità è ancora clamorosamente mancante, nonostante sapere ciò rappresenti un passaggio nodale della storia recente della Repubblica di San Marino.

I sammarinesi non hanno, forse, il diritto di sapere se attorno a Banca Cis si commettevano reati, se si “suggerivano” arresti, se lo stesso istituto bancario era il “fulcro” di una “cricca” così come emerso dagli esiti della Commissione parlamentare di inchiesta? Certo che ce l’hanno.

Un processo così importante che faccia luce su un momento delicatissimo della vita sammarinese non è tollerabile si possa istruire ad anni e anni dai fatti. Non è comprensibile che ancora oggi non se ne intraveda neppure l’ombra all’orizzonte. Questa, non le recenti sentenze che hanno turbato i “manettari” biancazzurri, è la critica che mi pare legittimo levare verso la gestione della giustizia sammarinese.

Già, ma mi chiedo: perchè su questo grave ritardo le componenti più critiche verso l’attuale gestione della giustizia e del Tribunale, Repubblica Futura in primis, non inscenano nessuna azione parlamentare, pressione o critica?

A loro non interessa scrivere il prima possibile con la penna indelebile di una sentenza giudiziaria definitiva una pagina determinante della storia sammarinese, peraltro relativa agli anni di un loro ruolo guida, trainante nella politica, nella maggioranza e nel governo di San Marino?

Enrico Lazzari

 

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